“Sappiate dunque che c’era una volta un principe vedovo, che aveva una figliola così cara che non ci vedeva per altri occhi; per lei teneva una maestra di prim’ordine, che le insegnava le catenelle, il punto Venezia, le frange e il punto a giorno, mostrandole tanto affetto che non bastano le parole a dirlo. Ma, essendosi sposato da poco il padre e pigliata una focosa malvagia e indiavolata, questa maledetta femmina cominciò ad avere in disgusto la figliastra, facendole cere brusche, facce storte, occhiate accigliate da spaventarla, tanto che la povera ragazza si lamentava sempre con la maestra dei maltrattamenti che le faceva la matrigna, dicendole: “O dio, e non potessi essere tu la mammarella mia, che mi fai tanti vezzi e carezze?” E tanto continuò a ripetere questa cantilena che, messole un vespone nell’orecchio, accecata dal diavolo, una volta la maestra le disse: “Se farai come ti dice questa testa pazza, io ti sarò mamma e tu mi sarai cara come le ciliegine di questi occhi”. Voleva continuare a parlare, quando Zezolla (che così si chiamava la ragazza) disse: “Perdonami, se ti spezzo la parola in bocca. Io so che mi vuoi bene, perciò zitto e sufficit: insegnami l’arte, perché io vengo dalla campagna, tu scrivi io firmo” “Orsù” replicò la maestra, “senti bene, apri le orecchie e il pane ti verrà bianco come i fiori. Appena tuo padre esce, dì alla tua matrigna che vuoi un vestito di quelli vecchi che stanno dentro la grande cassapanca nel ripostiglio, per risparmiare questo che porti addosso. Lei, che ti vuol vedere tutta pezze e stracci, aprirà il cassone e dirà: ‘Tieni il coperchio’ E tu, tenendolo, mentre andrà rovistando dentro, lascialo cadere di colpo, così si romperà l’osso del collo. Fatto ciò, tu sai che tuo padre farebbe monete false per accontentarti e tu, quando ti accarezza, pregalo di prendermi per moglie, perché (beata a te!) sarai la padrona della vita mia”
Gianbattista Basile, scrittore italiano di epoca barocca è stato uno dei primi a utilizzare la fiaba come forma di espressione popolare.
Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille è una raccolta di 50 fiabe in lingua napoletana pubblicate nel 1634 ed è costituita da 50 fiabe, raccontate da 10 novellatrici in 5 giorni – infatti l’opera è conosciuta anche come Pentamerone – e ha le caratteristiche della novella medievale anche se si avvicina però ai temi fiabeschi.
Il Pentamerone è però rivolto a un pubblico adulto, per i temi trattati: Basile descrive una Napoli plebea, miserabile, chiassosa, turpe: taverne, bordelli, bische, malefemmine. E i personaggi dei cinquanta racconti si raccolgono con lo scopo di far ridere il lettore; infatti Lo Cunto è un’opera preparata per il divertimento delle corti.
Dalla sua opera alcune fiabe ebbero poi una grandissima diffusione nella cultura europea – come ad esempio la Gatta Cenerentola, da cui Perrault trasse la sua Cenerentola, che affinò per adattarla alla corte francese del Re Sole: la pianella diventa una scarpetta di cristallo – sembra che la versione originale parlasse di una scarpetta di pelo e per un errore di traduzione diventò vetro – e si perdono alcuni elementi forti della prima versione della fiaba, infatti la cenerentola di Perrault è dolce e remissiva.
La gatta Cenerentola di Basile, Zezzolla, non è una fanciulla dolce e indifesa; uccide la prima matrigna, incitata dalla propria maestra sarta, che le promette di trattarla con amore se le farà sposare il proprio padre, e così accade. Ma anche la seconda matrigna non è da meno della prima e dopo pochi giorni comincia a maltrattarla e a imporre al Re le sue sei figlie.
Esistono tantissime versioni di questa fiaba ma la Zezzolla di Basile è l’unica che è è artefice del proprio destino, delle proprie trame e del proprio misfatto – (Bettelheim ) Tramite l’aiuto della fata della pianta di dattero che le dona un dattero magico, riesce ad andare al ballo per incontrare il Re e, alla fine, riesce a farsi sposare.
La Cenerentola di Basile è un caso molto raro nelle fiabe: lei non viene maltrattata dalle sorelle – la storia non ne parla – e uccide la prima matrigna ma per questo non viene nemmeno punita, anzi alla fine, otterrà il suo premio, cioè diventare regina.
In questa fiaba non è presente il conflitto fraterno, presenta nelle altre versioni, quanto il superamento del conflitto edipico: l’uccisione della matrigna, prima – probabilmente madre naturale e le due matrigne sono la stessa persona – e l’aiuto ottenuto dalla fata della palma, dopo, suggeriscono che la fanciulla abbia superato positivamente il conflitto edipico con la madre, e con esso le fantasie inconsce di reprimerla per mettersi al suo posto.
La bellissima e antica fiaba di Cenerentola si presta a tantissime interpretazioni e significati simbolici e non basta un post per raccontarli; possiamo dire che in alcune versioni, anche europee, Cenerentola fugge perchè il padre di lei vuole sposarla – ancora presenti le ripulse epidiche (Bettheleim- Il mondo incantato)
Il dattero magico rappresenta la risorsa che la giovane, determinata e sicura di sè, utilizza per raggiungere il suo scopo. Le versioni più recenti della fiaba puntano al conflitto fraterno – ma il bambino percepisce che Cenerentola dalla condizione di reietta – prima amata dalla madre che però muore, poi dalla matrigna che finge di esserle amica, rifiutata anche dal padre con cui aveva un rapporto privilegiato, e infine relegata a pulire il camino – una giusta punizione per il desiderio inconscio di prendere il posto della madre; sporca di fuliggine perché il suo desiderio è altrettanto sporco – può superare e uscire vittoriosa dal sui pensieri negativi nei confronti del genitore. In questo modo acquisisce la fiducia e la consapevolezza supera il senso di colpa inconscio per i suoi desideri cattivi.
Alle sorelle di Zezolla non è riservata la fine terribile capitata invece a quelle della versione dei Grimm: prima amputate rispettivamente del calcagno e delle dita del piede per cercare di infilare la scarpina di cristallo, e poi essere accecate dalle colombe amiche di Cenerentola.
“Così partirono, e il giorno dopo tornarono tutte, e, insieme con le figlie di Carmosina, Zezolla, la quale, come il re la vide, gli dié l’impressione di quella che desiderava; e nondimeno dissimulò. Ma, finito il desinare, si venne alla prova della pianella, che, non appena fu appressata al piede di Zezolla, si lanciò di per sé stessa, come il ferro corre alla calamita, a calzare quel cocco pinto d’Amore. Il re allora strinse Zezolla tra le sue braccia, e, condottala sotto il suo baldacchino, le mise la corona sul capo, ordinando a tutti di farle inchini e riverenze come a loro regina. Le sorelle, livide d’invidia, non potendo reggere allo schianto dei loro cuori, filarono moge moge verso la casa della madre, confessando a lor dispetto che pazzo è chi contrasta con le stelle.”
Per loro solo una comprensibile invidia e la consapevolezza che è inutile opporsi al destino segnato dalle stelle che spetta ai giusti e agli umili di cuore!