Il fantasma, la strega e gli incantesimi tecnologici

fiaba definitivo

Lorenza Bianchi

Il nostro bel Concorso Un Paese da Fiaba – organizzato dal Comune di Padenghe sul Garda, con la Biblioteca Comunale e la collaborazione di Fiabe in Costruzione ci sta accompagnando in questa calda estate, con le sue bellissime fiabe.

Vi abbiamo raccontato le storie di castelli, magie , streghe e incantesimi, e oggi, rullo di tamburi, siamo arrivati alla fiaba vicitrice, prima classificata per la Categoria Autori 

“Il fantasma, la strega e gli incantesimi tecnologici” ; anche le fiabe sanno adattarsi ai nostri tempi moderni e raccontare di streghe e terribili incantesimi  ai tempi dei computer, Facebook, e innovative App! Una bella fiaba originale e diversa, il bellissimo connubio creatività e fantasia,  che porta la magia delle fiabe nei nostri tempi moderni, che di fiabe ne hanno proprio bisogno!

Complimenti all’autrice Lorenza Bianchi, vincitrice, per la categoria Autori, del Concorso un Paese da Fiaba!

Il fantasma, la strega e gli incantesimi tecnologici – prima parte

C’era una volta uno splendido castello abitato da Desiderio, Re dei Longobardi, e dalla figlia Ermenegarda. Quest’ultima era una fanciulla dolce e gentile con gli occhi dello stesso azzurro dell’acqua del lago di Garda. La ragazza adorava il lago e i prati che lo circondavano e, per una strana e misteriosa ragione, era convinta di aver vissuto in quei luoghi ancora prima di nascere e sentiva di appartenervi. Questo fu il motivo per il quale il padre abbreviò il suo nome in: Garda’s. Tutti amavano la fanciulla, ad eccezione della strega Bennie – la strega si chiamava proprio come il mostro che popola le acque del lago – che, invidiosa del fascino della ragazza, quando questa compì diciotto anni, la trasformò in un fantasma destinato a vagare per sempre all’interno del castello. La strega per far credere a tutti che Garda’s fosse annegata, gettò i suoi vestiti nel lago e li fece galleggiare; un pescatore li trovò e li portò al padre. Il Re diede la figlia per morta e, insieme a tutti i sudditi, ne pianse a lungo la scomparsa. Trascorsero molti anni, Re Desiderio morì e a lui successero altri regnanti e poi varie repubbliche. Garda’s continuava ad essere un fantasma che viveva nel castello e sfruttava la proprietà di essere invisibile per poter aiutare gli altri. Bennie, invece, era diventata una strega triste ed annoiata. Ultimamente la sua memoria la tradiva e quando doveva compiere qualche maleficio le succedeva spesso di scambiare le formule con le pozioni. Aveva provato ad annotarle su un diario, solo che poi scordava dove l’aveva riposto. Anche la sua scopa non era più affidabile: aveva poca accelerazione, stentava a decollare, e per di più non reggeva lunghi percorsi. Questo le impediva di raggiungere le altre streghe quando si riunivano in posti lontani. Tutto ciò la faceva sentire terribilmente isolata.

Un giorno, però, lesse un articolo dove apprese che con l’uso di Internet e di Facebook sarebbe stato facile tenersi in contatto con le colleghe ed eventualmente scambiare con loro alcune ricette. Inoltre, se avesse imparato ad usare il computer, avrebbe archiviato, e quindi ritrovato senza problemi, le formule e anche le pozioni. Approfondendo l’argomento scoprì che, montando sulla sua scopa un mini pc collegato al suo computer principale, non solo la scopa sarebbe diventata più potente, ma avrebbe potuto usufruire anche di uno speciale navigatore in grado di decifrare le mappe interstellari per le streghe. Bennie trovò tutto ciò geniale; si trasformò immediatamente in una signora di mezz’età e si iscrisse ad un corso d’informatica per principianti organizzato dalla Biblioteca del paese. L’informatica la appassionò a tal punto che, terminato il corso per principianti, s’iscrisse al corso per intermedi e successivamente anche a quello per avanzati. In poco tempo si trasformò in un’esperta e costruì un sito internet che suscitò l’invidia di tutte le altre streghe. Nel sito Internet inserì anche uno shopping on-line dove vendeva ingredienti particolari, quali: polvere di ali di pipistrelli, lingue di rospo e code di lucertola, utili per la realizzazione di pozioni magiche e normalmente introvabili nei negozi. Ma Bennie non fu l’unica ad occuparsi d’informatica, anche Garda’s divenne un’esperta.

Il castello dove il fantasma vagava era composto rispettivamente da un’area antica rimasta invariata nel tempo e perciò meta di turisti spesso tedeschi, ed un’altra zona, più recente, formata da un insieme di abitazioni. In una delle case abitava Ander, un ragazzino sensibile che amava la natura. Il vero nome di Ander era Andrea, ma lui si faceva chiamare così perché nutriva un amore particolare per il vento Ander, dal quale si faceva trasportare con il suo wind surf ogni volta che, di pomeriggio, cavalcava le onde del lago di Garda. Quando il ragazzo tornava da scuola, il fantasma, senza mai manifestare la propria presenza, gli stava vicino e lo aiutava soprattutto nello svolgimento dei compiti. Ad esempio: quando Ander cercava di risolvere qualche problema di matematica e non riusciva, Garda’s sottolineava sul libro il passaggio che gli avrebbe consentito di raggiungere la soluzione e poi, approfittando di un attimo di distrazione del ragazzo, glielo spostava vicino in modo che lui lo vedesse. E quando Ander doveva studiare storia, il fantasma, che la storia l’aveva vissuta per davvero, gliela rendeva più facile e gradevole facendogli trovare, infilati nel libro, degli appunti che riportavano aneddoti divertenti realmente successi. Il ragazzo ripeteva gli aneddoti a scuola e l’insegnante, che non li conosceva, si congratulava con lui. Garda’s amava tutte le persone, e in modo particolare i ragazzi, ma per via della sua invisibilità non poteva comunicare con loro, ed allora, per conoscere meglio i loro desideri e le loro necessità, imparò ad usare Facebook. Creò il profilo Ardag, ottenuto anagrammando una parte del suo nome, e in breve tempo conquistò l’amicizia di molte persone ritrovandosi a chattare spesso anche con i compagni di Ander, cogliendone i lati del carattere e del comportamento. Purtroppo scoprì che i ragazzi di quell’età erano tristi, annoiati e soprattutto sedentari: quando avevano tempo libero anziché uscire a giocare, stavano in casa incollati al televisore, al computer o al telefonino. Garda’s si rese inoltre conto che spesso erano lasciati soli perché i genitori lavoravano sempre di più, e quando arrivavano a casa erano talmente sfiniti da non riuscire a dedicare tempo ai figli. Dopo lunghi ripensamenti su come risolvere la situazione, decise di elaborare la “App della felicità”: attraverso la redistribuzione del tempo e del denaro i genitori avrebbero lavorato meno e guadagnato tutti in modo ragionevole, ciò avrebbe permesso loro di giocare con i figli trascorrendo insieme anche del tempo all’aria aperta.

Il fantasma si mise subito all’opera: di giorno appuntava su un foglio i passaggi necessari per la realizzazione dell’App e durante la notte usava il computer di Ander per trascriverli ed elaborarli. Una notte però, il suo segreto corse il rischio di essere svelato: il ragazzo si svegliò improvvisamente e vide il computer illuminato con la tastiera che si muoveva da sola ad una velocità folle, si spaventò ed urlò come un forsennato. I genitori accorsero subito e lo rassicurarono spiegandogli che sicuramente si era trattato di un incubo. Garda’s – aka Ardag – che nel frattempo si era fatta molti amici su Facebook, aprì una pagina e “postò” il significato della “App della felicità” e il “link” del sito Internet dove poterla scaricare gratuitamente. Ricevette davvero molti complimenti dai genitori dei compagni di Ander che caricarono la sua App gratuita sul pc e sui telefonini e misero in pratica i consigli per poter vivere meglio sia sul lavoro, sia con la propria famiglia. Anche i ragazzi seguirono i giochi da lei proposti e, grazie a ciò, impararono molte cose. Garda’s – aka Arda – pubblicò su molti portali, anche internazionali, la “App della felicità”. In breve tempo le sue idee divennero “virali” e giunsero così anche all’orecchio di Bennie, la quale decise d’intervenire per evitare che la gente fosse felice.

Qualche tempo prima la strega era rimasta letteralmente folgorata dalla storia del più grande hacker – pirata – informatico e cioè Kevin Mitnick, detto “Condor” e aveva deciso d’ intraprendere la sua stessa strada. Aveva imitato l’hacker in tutto e per tutto, al punto da farsi chiamare, nome in codice: “Condora”.

La strega, attraverso la sua bacchetta magica, riuscì a sapere che dietro Ardag si celava Garda’s e, gelosa del successo che riscuoteva, decise di distruggere il suo lavoro. Entrò prima nella sua App, poi nel suo sito, e infine nel suo profilo FB e li stravolse totalmente. La cosa più grave riguardò il cambiamento delle regole della “App della felicità”, al punto tale che i genitori insorsero quando, il giorno seguente, lessero esattamente il contrario di ciò che era stato scritto fino ad allora.

Ecco le nuove regole della strega per i genitori:

 

  • Lavorare senza passione e solo per incassare denaro
  • Maltrattare il/i bambino/i
  • Sgridarlo/i senza motivo
  • Trascorrere il proprio tempo libero davanti alla televisione
  • Fare differenze tra un figlio ed un altro
  • Fumare in presenza del/i bambino/i
  • Non cucinare e far mangiare al proprio /i figlio/i solo cibo spazzatura
  • Andare a spasso o in discoteca lasciando solo/i il/i proprio/i figlio/i
  • Dire agli Insegnanti che il/i proprio/i figlio/i ha/hanno sempre ragione
  • Parlare male del/dei proprio/i figlio/i in presenza dei compagni di classe o degli amici
  • Ripetere in continuazione al/ai proprio/i figlio/i che non capisce /capiscono nulla
  • Istigare il/i proprio/i figlio/i a picchiare i compagni
  • Convincere il/i proprio/i figlio/i a non condividere nulla di ciò che possiede/possiedono con chi è meno fortunato
  • Mescolare la pattumiera mettendo nello stesso sacco l’umido con la plastica o la carta con la plastica
  • Inquinare l’acqua del lago gettando l’olio della frittura nel lavandino
  • Lasciare i rifiuti ingombranti nei prati anziché smaltirli presso la piattaforma ecologica

Mentre queste erano le nuove regole della felicità per i bambini:

  • Andare a scuola il meno possibile o non andarci affatto
  • Rispondere male agli insegnanti
  • Non studiare
  • Non recarsi mai in biblioteca
  • Non leggere mai libri e neppure giornali
  • Guardare la televisione tutto il giorno oppure giocare con i videogiochi, senza mai fare i compiti
  • Alzarsi in continuazione durante il pranzo e la cena e giocare con il cellulare
  • Mangiare solo patatine fritte, merendine e bere solo bibite gassate
  • Non mangiare mai frutta, e neppure verdura
  • Fare gare di rutti a tavola
  • Rispondere male ai genitori e agli insegnanti
  • Non sparecchiare la tavola
  • Non rifarsi il letto e mettere in disordine il più possibile la cameretta
  • Non fare mai la doccia e non cambiarsi mai i calzini e le mutande
  • Essere sempre tristi e scontenti
  • Fare i dispetti e picchiare gli amici e i compagni
  • Fare dispetti a tutti gli animali, oppure ucciderli
  • Gettare le carte e i chewingum per terra

fine prima parte.

La leggenda di Tempusfugit – 1° parte

tempusfugit foto

Vanni Camurri

Continua il nostro viaggio nelle bellissime fiabe che ci  raccontano, fra magia e incanto, la storia di un paese, del suo castello e del suo bellissimo lago.

Vi abbiamo già detto che  il  Concorso Un paese da Fiaba organizzato dal Comune di Padenghe sul Garda, con la Biblioteca Comunale e la collaborazione di Fiabe in Costruzione ci ha regalato molte soddisfazioni, tanta partecipazione e un sacco di fiabe.

Oggi vi presentiamo la fiaba terza classificata per la categoria Autori e il suo bravo autore VANNI CAMURRI, a cui facciamo i nostri complimenti,  che si è definito ” un nonno” con la passione per la storia, e per le  storie da scrivere e raccontare,  e proprio una bella storia  ci racconta il sig. Vanni, una leggenda  ambientata sulle sponde del nostro bel lago.

Fatevi trascinare dalla magia  del racconto e  dal suo mistero… potrete incontrare un vecchio pellegrino,  una saggia herbaria; o un terribile drago a tre teste…

Ecco a voi:

La leggenda di  Tempusfugit

Accadde un tempo lontano: feroce qual Leviatiano apparve sulle rive del lago

 Tempusfugit il drago.

Gualtiero era tornato dalla crociata. Si era fermato sulle sponde del lago prendendo possesso di un terreno sulle colline, disdegnato persino dalle capre; vi aveva lavorato tutta l’estate, ma prima che il vento del nord sollevasse alte onde con le sue gelide dita, aveva sistemato una casupola di sasso, scavato una cisterna e piantato rose ed erbe medicamentose portate dall’oriente. Ne ricavava unguenti, cataplasmi, decotti e tisane che ben presto lo avevano reso noto e benvoluto in tutta la regione.

La croce rossa sul mantello che indossava era un lasciapassare che apriva molte porte e anche a castello era ben accolto, particolarmente dalle dame di corte cui non faceva mancare un prezioso unguento a base di rosa damascena dai poteri quasi miracolosi che rendeva la pelle luminosa e profumata.

Quel territorio viveva uno dei rari momenti di pace e Gualtiero lentamente aveva dimenticato di aver respirato la polvere dei campi di battaglia, udito il clangore delle armi, i gemiti dei feriti, lo scempio della morte.

Con un lavoro instancabile aveva scavato canaletti di irrigazione e costruito due essiccatoi a seconda che le sue erbe abbisognassero del calore del sole o del chiarore della luna. Non parlava mai dei giorni trascorsi in Terrasanta, neppure quando i bambini gli chiedevano di raccontare le fiabe d’Oriente e a chi, cercando di fargli aprire bocca, lo stuzzicava: «come mai non sei tornato ricco dalla Crociata?».

Rispondeva pacatamente: «la ricchezza non è cose da possedere, ma bastare a sé stessi», e senza aggiungere altro se ne andava.

Una sera ricevette la visita del valletto della Signora di Padingula che lo invitava a recarsi senza indugio a castello. “Madonna Gemma avrà finito l’unguento di rosa…” Pensò, ma il valletto aveva portato un palafreno anche per lui, fatto inusuale che lo mise in allarme, ma poi il piacere, dopo tanto tempo, di montare una magnifica cavalcatura scacciò la preoccupazione. Fu introdotto nelle sale della Signora dove vide che ad attenderlo c’era anche Neri di Manerba, il castellano.

Immediatamente mise il ginocchio a terra in segno di rispetto, ma questi gli si avvicinò con premura: «rialzati Gualtiero: l’ora è grave e di fronte al pericolo l’uomo è quello che vale e non il titolo che porta».

Il castellano era un uomo nel pieno vigore degli anni, dai tratti virili e proporzionati; una corta barba incorniciava un volto gentile in cui gli occhi, mobili e profondi rivelavano la nobiltà d’animo. Colpito dall’inusuale familiarità di quelle parole Gualtiero fiutò guai in arrivo e domandò: «che accade mio signore?».

«Notizie di sciagura: nei pressi della città del Sonno si è stabilito un drago dal potere tenebroso che terrorizza la popolazione: così paura e povertà dilagano in quella terra, non nascono bambini, nessuno cura le proprie occupazioni e la regione è percorsa da torme di sbandati che hanno l’unico scopo di uccidere e distruggere».

«Quella povera gente», intervenne angosciata la Signora «è convinta che il drago sarà placato offrendogli la vita della nostra bambina, Samiel».

«Ha solo sei anni…», mormorò Gualtiero inorridito, cogliendo nello sguardo della castellana una nota di sconforto e fatalismo che lo portò a replicare: «col male non si scende a patti, ma si combatte senza sacrificare i propri figli!».

Sul viso della nobile signora sbocciò un mesto sorriso; la sua figura minuta parve insignificante nella vastità della sala, attanagliata com’era dall’impossibilità di intravvedere una soluzione. Cautamente Gualtiero domandò: «non mancheranno valorosi cavalieri che vorranno affrontare il drago».

«È questo il punto», replicò il castellano, «occorre un valoroso, dal cuore intrepido e con esperienza di guerra; i nostri campioni sono irruenti, ma cresciuti in tempo di pace e al massimo hanno esperienza di tornei…».

«Accettate voi questo compito!». Intervenne anelante la Signora, «temiamo per il nostro popolo, e per la piccola Samiel!». Gualtiero ne incrociò lo sguardo e nei suoi occhi vide la bambina, le sue trecce bionde, il collo esile, lo sguardo innocente.

«Partirò domani», dichiarò Gualtiero con semplicità. «Avrete la nostra riconoscenza e tutto ciò che chiederete sarà vostro!». Dichiarò sollevato il re. «Ne riparleremo se e quando tornerò», replicò Gualtiero increspando appena le labbra in una specie di sorriso e riprese: «sapete se il drago ha un nome?».

«Sì», rispose Neri abbassando la voce. «È conosciuto come Tempusfugit e possiede tre teste: una d’elettro che penetra il futuro, una d’ambra che conosce i segreti del passato ed una di ghiaccio con cui domina il presente».

Nella notte Gualtiero affilò la propria spada e lucidò l’armatura; la sfida che lo attendeva era al limite del possibile e la preoccupazione gli circolava nelle vene assieme all’adrenalina: essere coraggiosi non significava non sentire la paura, ma dominarla; essere più forte di lei perché dove non c’è timore neppure c’è coraggio; aveva convissuto con quello stato d’animo ogni notte prima della battaglia e non ci si era mai abituato, forse per questo era ancora vivo: il valore è figlio della prudenza, non della temerarietà e la paura dominata insegnava appunto la prudenza.

Infine indossò il mantello con cui era entrato nel Santo Sepolcro; sellò il cavallo e si diresse verso la città del Sonno: ormai la sua vita era in gioco. 

Lungo il cammino si fermò ad una fonte dove incontrò un vecchio pellegrino dalla pelle bruciata dal sole. Si scrutarono a lungo in silenzio. Infine il vecchio commentò: «un crociato qui?». Gualtiero non rispose: il mantello con la croce rossa testimoniava per lui; si dissetò e rispose: «questo mantello mi ha accompagnato nel Santo Sepolcro e porta su di sé la polvere di quel luogo». 

Un lampo di speranza brillò nello sguardo del pellegrino: «se me lo darai avrò finito il mio camminare; ormai non mi rimane molto tempo e potrò morire nella pace del Signore». Quelle parole colpirono Gualtiero che pensò: “forse domani il mantello non mi servirà più…” se lo tolse scambiandolo con quello di ruvido sacco del pellegrino, poi riprese il cammino.

Fatti pochi passi il vecchio lo chiamò: «cavaliere! Avvicinati al drago quando le campane suoneranno il vespro: due teste dormiranno, sull’unica che veglia getta il mio mantello». Pronunciate quelle parole scomparve. Sbalordito Gualtiero diede di sprone al cavallo.

 Giunto alla tana del drago si avvicinò con cautela confondendosi tra le rocce: l’antro era un luogo terribile e vi regnava l’alito della morte. Attese immobile, silenzioso e al rintocco del vespro si avvicinò: un fragore infernale gli fece dubitare delle parole del pellegrino; ugualmente brandì la spada ed entrò.

L’aspetto del mostro era orrendo, eppure Gualtiero sorrise: due teste dormivano davvero, russando in modo disumano. Senza esitare gettò il mantello del pellegrino sulla testa di ghiaccio per poi avventarsi come una furia su quella d’elettro che con un unico fendente passò dal sonno alla morte.

Come una belva ferita la testa del passato si destò con un ululato infernale. La vista dell’accaduto aumentò il suo furore e azzannò il mantello scagliandolo lontano. Gualtiero s’avvide che la testa di ghiaccio si era sciolta, pure con la sola testa rimasta il drago era temibile e non trovò di meglio che battere in ritirata.

Trovò rifugio dietro ad una grande roccia pensando a come poter chiudere il conto con l’orribile bestia: a tal proposito, purtroppo, il pellegrino non aveva detto nulla.

Intanto il drago, rabbioso, era uscito dall’antro. Gualtiero l’udì avvicinarsi con passi che scuotevano il terreno, mentre la sua mente lavorava freneticamente: “è un animale magico e non si può sconfiggere con la sola spada; ho vinto il futuro con l’audacia, il presente con la Carità, ma il passato non può essere combattuto, ma solo purificato…” così dicendo toccò il sacchetto di cuoio che portava al collo. Vi custodiva un pugno di terra raccolta sul Golgota. Un lampo di conoscenza gli attraversò la mente e seppe cosa fare.

Uscì dal nascondiglio: il drago inalberò la testa come un gigantesco serpe e si preparò ad attaccare scrutandolo malignamente con l’unico occhio di cui era fornito. Gualtiero con un gesto fluido, quasi un passo di danza, gettò la terra del Golgota nell’occhio del drago e roteò la spada. Accecata la bestia ululò furente scoprendo il collo che la spada di Gualtiero recise d’un sol colpo staccando di netto la testa d’ambra.

 Sulla riva del lago un fuoco illuminò la notte e il drago fu arso su una grande pira. Vi furono festeggiamenti, danze, giochi e vino a fiumi. Gualtiero si sottrasse a quell’euforia, l’impresa era solo all’inizio: il drago non era giunto sulle rive del lago per caso, ma era l’espressione di un volere maligno che aveva preso di mira quel luogo e le fertili terre che lo contornavano per una ragione che gli sfuggiva.

Scartò l’idea di tornare a castello e ripensò all’incontro col pellegrino e comprese che era solo una pedina di una battaglia che si combatteva in sfere ben più eccelse e in ogni caso chi aveva creato il drago non gli avrebbe permesso di andarsene semplicemente, ma avrebbe scatenato la sua vendetta ed egli non poteva che esserne il primo bersaglio.

Era indispensabile scoprire quale segreto e quale scopo si celava dietro la comparsa del drago: doveva arrivare fino in fondo e danzare fino all’ultimo passo.

Il luogo stesso della manifestazione era evidentemente percorso da energie potenti: si narrava di un intero villaggio scomparso nel giro di una notte, ma per un drago occorreva l’opera di una volontà maligna e forte, conoscenze magiche oscure che forzatamente dovevano aver lasciato qualche traccia.

Gli era stato riferito che in quella zona operava una herbaria, una donna delle erbe, conoscitrice di un sapere antico, capace di guarire con le sole virtù offerte dalla natura. In passato si era ripromesso di farle visita nella speranza di carpirle qualcuno dei suoi saperi, ma ora erano altre le domande che desiderava porle.

 La incontrò il mattino successivo in un prato incolto, china sul terreno che setacciava con sguardo attento. La salutò con deferenza: «Dio ti sia propizio, signora».

«In che posso servirti?», rispose questa senza distogliere lo sguardo dalla sua ricerca, poi, alzato il capo, fu colta da un moto di sorpresa: «il crociato di Padingula qui?! Cosa desideri dalla tua serva?». «Mi chiamo Gualtiero», rispose questi con un sorriso aperto. «Non pensavo che la mia fama fosse giunta alle tue orecchie».

La donna si pulì le mani nel lungo grembiule cinto in vita e rispose con un sorriso che spianò la ragnatela di rughe del volto, vecchio, ma illuminato da iridi di un azzurro incredibile.

Osservò Gualtiero con pacatezza e rispose: «avevo udito meraviglie su di te come herbario, ma da quando hai ucciso il drago il tuo nome e la tua fama corrono da una riva all’altra del lago… anche se da quanto ho udito ti facevo più alto».

Gualtiero sorrise all’arguzia della donna: «ho bisogno di parlare con te».

«Ti ospiterò nella mia umile dimora dove staremo al sicuro».  

Poco dopo Gualtiero entrò in una semplice abitazione, come la sua, ma all’interno era evidente il tocco di una mano femminile che gli intenerì l’animo: quella era una gioia che a lui era negata. «Preparo un infuso di salvia», disse l’herbaria avvicinandosi al focolare: «dona longevità e saggezza; cosa ti porta da me?». «Hai piantato tu stessa la salvia?», chiese Gualtiero.

L’herbaria sorrise sorniona: «sei un uomo prudente: so anch’io che piantare salvia da sé porta sfortuna e quindi l’ho fatto fare da un estraneo».

«Scusami donna, dubitare è una abitudine che non riesco a dominare…». «E forse per questo sei ancora vivo, ma dimmi cosa vuoi sapere».

Gualtiero le narrò dei suoi sospetti sulla comparsa del drago e se sapesse chi aveva potuto evocarlo.

L’herbaria si fece pensierosa: «ho sentito dire che al Doss delle strie appare una dama, preceduta da due ancelle bambine, identiche in tutto e per tutto, che attirano i giovani che si avventurano in quel luogo; una volta condotti al cospetto della dama sono costretti a danzare fino a morirne… effettivamente qualche giovane è scomparso, ma che questa sia la vera ragione non so…».

Gualtiero era perplesso: «storie come queste fioriscono in tutte le regioni e di solito servono a nascondere altri misfatti; io credo che qualcuno voglia colpire i signori di Padingula: perché altrimenti sarebbe circolata la voce che per placare il drago sarebbe stato necessario sacrificare la loro bambina?».

«Sei acuto, guerriero della croce, io stessa mi sono fatta un’altra idea, che ha radici lontane nel tempo». «Ti ascolto, proprio questo desideravo sentire».

L’herbaria versò in due ciotole di legno l’infuso di salvia che addolcì col miele, sedette di fronte a Gualtiero, bevve un sorso e prese a dire:

«molti anni fa si diceva che Neri, l’attuale signore di Padingula, avrebbe dovuto prendere in sposa la figlia di una nobile famiglia di Glorenza, ben conosciuta nelle nostre zone per il commercio del sale; sembrava che il patto fosse concluso, ma poi… Neri preferì prendere in sposa Gemma che portava in dote il feudo e il castello; volarono accuse da entrambe le parti, poi tutto si quietò; girarono voci che la fanciulla di Glorenza non reggesse all’affronto e scomparve, chi dice nascosta nel monastero di Sabiona, chi al seguito di una compagnia di nomadi; sono convinta che gli ultimi avvenimenti abbiamo qui la loro origine».

Benché sospettasse che la donna sapesse molto di più Gualtiero comprese che non avrebbe detto altro, tuttavia azzardò: «e dove potrei incontrare questa misteriosa fanciulla?».

L’herbaria sorrise sorniona e raccogliendo le tazze borbottò: «io farei un giro dalle parti di Montdragon e sceglierei un giorno di sole pidocchioso e vento assassino… ora però debbo mettermi al lavoro, molti corpi sofferenti attendono una mia visita; spero di vederti in un’altra occasione guerriero della croce, avrei molte cose da domandarti», e detto questo prese a ravvivare il fuoco nel camino e lavorare al mortaio.”

 fine prima parte 

Il castello che insegnò alla strega la felicità

castello 1

Patrizia Kovacs

Dolcissima e davvero bella la fiaba vincitrice, per la categoria Scuola Media del Concorso  Un Paese da Fiaba  organizzato dal Comune di Padenghe Sul Garda, con la Biblioteca Comunale e la collaborazione di Fiabe in Costruzione.

Come abbiamo già detto non è stato facile scegliere tra tante opere meritevoli, ma ogni partecipante al Concorso ha vinto in qualche modo, perchè ha creato qualcosa di unico e personale, e proprio per questo, prezioso.

Complimenti alla giovanissima autrice Chiara Orio che ci racconta la storia dell’amicizia fra un piccolo castello e una strega, diventata cattiva perchè ha perso l’amore.

La magia continua!

“In un piccolo angolo di terra bagnato dalle tiepide acque di un lago sereno e tranquillo, un minuscolo castello trascorreva le sue giornate sonnecchiando, cullato dalle onde, che con ritmo lento e cadenzato, si spegnevano ai piedi delle sue mura. I gabbiani, dopo essersi librati nel soffio del vento, amavano riposarsi sulla sua torre e continuare a osservare l’orizzonte fino al punto in cui il lago incontrava le montagne. Tutto intorno, file di salici lo accarezzavano con i loro rami flessuosi, mentre gruppi di ulivi dai colori argentei e ormai prossimi a donare i loro frutti, lo circondavano quasi a volerlo proteggere. Ma in verità, era lui stesso a proteggere gli animali e la gente del piccolo borgo, ogni qualvolta  un pericolo incombesse su quelle terre, desiderio di conquista di molti. Nonostante tutto, intorno al piccolo castello regnava la pace.

Ma un giorno, proprio sul finir dell’estate, qualcosa stava cambiando. E lo si intuiva guardando il cielo, nel quale grandi nubi color porpora si stavano ammassando formando un’insolita figura che, minacciosa, si avvicinava sempre di più al castello; quando ne fu sopra, un turbine di vento iniziò a soffiare così forte che i rami dei poveri salici parevano staccarsi e così pure i miti ulivi, che di colpo persero i loro preziosi frutti. I gabbiani erano già fuggiti lontano e il povero castello rimase inerme in balìa della tempesta.   

Fu allora che apparve in tutta la sua bruttezza: vecchia, i capelli sciupati e senza colore, lo sguardo gelido e vitreo.

Era la strega del Baldo, che tutti temevano, perché quando scendeva dall’alta montagna, portava con sé distruzione e terrore. Viveva lassù da sola, circondata solamente dalle nubi che l’accompagnavano ogni volta che si spostava. Di lei si sapeva poco, ma i più anziani raccontavano che tanto tempo prima era stata una bellissima ragazza, una ninfa forse, solare ed allegra, dolce e amichevole con ogni creatura che popolava le rive del lago. Si diceva anche che un giorno si fosse perdutamente innamorata di un cavaliere errante, un valoroso eroe che, durante la strada di ritorno verso casa, rapito dall’incantevole paesaggio, aveva chiesto ospitalità proprio nella dimora della ragazza, rimanendovi poi per molti anni.

Con il passar del tempo anche lui si era innamorato di lei e niente avrebbe potuto separarli. Ma ahimè, un giorno il cavaliere dovette partire richiamato dal suo dovere di soldato, ma lo fece promettendo alla sua amata che sarebbe tornato presto. Purtroppo passarono i giorni, poi i mesi e con essi le stagioni, ma del cavaliere non si seppe più nulla.

La povera ragazza, che per tanto tempo lo aveva aspettato, non si rassegnò al destino e per il grande amore che aveva nel cuore, decise di partire per ritrovarlo. Vagò per pianure e colline, fiumi e torrenti, chiedendo a chiunque incontrava se mai avesse visto un cavaliere. Ma nessuno sapeva aiutarla e la disperazione e la tristezza aumentavano sempre di più.

Finché un giorno, stanca di peregrinare per il mondo, decise di salire sull’alta montagna che dominava il lago e da lì, scrutando attentamente l’orizzonte, avrebbe atteso il ritorno del suo amato…che purtroppo non avvenne mai. Il cuore della ragazza nel frattempo si era indurito, e il suo dolce sorriso era solo un lontano ricordo.

Aveva smesso di sperare ed evitava di guardare in basso, verso il lago, e per staccarsi da quel mondo crudele che le aveva rubato la felicità, decise di circondarsi di nuvole, dense e grigie. Ma se poteva evitare di guardare, non poteva però non sentire le risa gioiose della gente, il soave canto degli uccelli, il fruscio delle fronde degli alberi, lo sciabordio delle onde sulle spiagge, insomma l’allegria che quei posti emanavano ogni giorno. Ciò la faceva infuriare a tal punto, che periodicamente scendeva circondata dalle sue nubi e accompagnata da venti impetuosi, distruggendo ciò che trovava sul suo cammino: nessuno doveva essere felice, perché lei non lo era.

Ecco perché gli abitanti del lago avevano imparato a guardare attentamente la grande montagna e se scorgevano che le grigie nubi si avvicinavano, correvano al riparo in luoghi sicuri, gridando “la stria, la stria, arriva la stria!”.    

E così fu quel pomeriggio di fine estate.  La strega decise di scendere, non solo per spazzare via l’allegria degli abitanti, ma, questa volta, con la ferma intenzione di rapire qualcuno o qualcosa che potesse rendere la sua esistenza sulla montagna meno triste.                                                                                       

Man mano che avanzava non trovava però nessuno, finché, giunta quasi alla fine del lago, il suo gelido sguardo cadde sul piccolo castello che non poteva fuggire, rimanendo così da solo di fronte alla strega.

 “Tu, che hai l’aria felice, verrai con me sopra la grande montagna!” disse con voce ferma la donna indicandolo con le sue dita secche e rugose. A quelle parole il piccolo castello, impaurito rispose:” Io? Perché dovrei seguirti fin lassù? Io non sono che un piccolo castello, abituato alla pianura, al clima mite, all’acqua che bagna le mie mura, al solletico dei salici.

Lassù fa freddo, l’acqua è lontana e non ci sono alberi e nemmeno gabbiani a tenermi compagnia. A cosa posso servirti? Lasciami qua, in mezzo ai miei cari amici, là mi sentirò tanto solo.” “E con ciò?” rispose la strega. ” Anch’io sono sola, non ho amici. Nessuno mi accarezza e mi protegge come fanno gli alberi con te e mai nessun gabbiano è arrivato fino lassù, facendomi sentire il suono della sua voce o improvvisando giravolte gioiose. Se io ti porterò sulla montagna, allora tutto ciò che ti rende felice ti seguirà e renderà felice anche me!”.                                                      Dopo un attimo di silenzio, il piccolo castello, intuendo che in fondo forse lei non era cattiva come voleva sembrare, ma aveva solamente nel cuore tanta malinconia, rispose:” Ti sbagli, cara amica.

La felicità non si può avere così, con la prepotenza. La felicità è qualcosa che viene spontanea, che nasce in noi quando condividiamo con gli altri momenti speciali, attimi particolari che rimarranno nella nostra memoria per sempre. La felicità è quando incontriamo qualcuno che ci fa sentire speciali e, a sua volta, anche lui lo è per noi.

Per cui, anche se tu mi porterai via con te, io non riuscirò a renderti felice; al contrario, anch’io diventerò triste, perché mi avrai separato dai miei amici, dalla mia terra e dal mio amato lago.”                                                                                                 

A quelle parole, la strega si ricordò di quando, molti anni prima era stata innamorata e amata e di quanta felicità aveva avuto nel cuore e capì che il piccolo castello aveva ragione. Cominciò a piangere e le lacrime erano così grandi e copiose che in poco tempo l’acqua del lago si alzò e cominciò a sommergere ogni cosa, ogni casa, ogni albero, anche il piccolo castello, che con le sue dolci ma potenti parole, era riuscito a scalfire il duro cuore gelido della strega. Quand’ella se ne accorse cercò di rimediare al suo involontario errore: soffiò, soffiò e poi soffiò ancora più forte, fin tanto che il livello delle acque si abbassò, lasciando pian piano riaffiorare la torre e poi le mura del piccolo maniero. 

“Oh, mio piccolo amico, perdonami, non volevo farti del male”, disse la strega, ma il castello restava silenzioso. Tutto sembrava sospeso, quasi in attesa di un suono, di una parola.  

Vedendo che tutto restava immobile, la strega si gettò verso di lui e tentando di abbracciare le sue mura, vi si appoggiò e cominciò di nuovo a piangere, consapevole di aver trovato, ma forse subito perso, finalmente un amico. Poi cominciò ad intonare un canto, un dolce canto che sentiva da bambina quando insieme alla sua mamma, si recava sulle rive del lago e mentre sua madre lavava i panni, lei giocava a raccogliere i sassi, cercando quelli più bianchi e luminosi al sole.

Tutti questi ricordi provocarono nella strega uno strano sentimento: un senso di gioia, di euforia, di affetto che non provava da molto, molto tempo. Al suono del suo canto, i gabbiani cominciarono a volare danzando sopra di lei e sembrava perfino che le onde del lago seguissero il ritmo della sua melodia.

A poco a poco stormi di anatre e germani reali planarono sull’acqua e nuotando in armonia le si avvicinarono, intervallando ogni tanto le sue parole con il loro “qua, qua”, quasi a condividere, come un’orchestra, quel momento. Furono attimi magici, speciali, momenti che sarebbero restati nel cuore della strega e le avrebbero dato gioia tutte le volte che li avesse ricordati.

Fu allora che il piccolo castello si mosse e, tra lo stupore generale, rivolse lo sguardo alla strega e le disse:” Lo sapevo che non mi avresti fatto del male, che non eri cattiva. Eri solo triste e sola, senza amici. Avevi bisogno di sentirti amata e importante, necessaria per qualcuno. Perché non resti qui?

Gli amici, sai, possono essere tanti, magari diversi da noi, ma ognuno ti può donare qualcosa e tu, soprattutto, puoi fare lo stesso per loro”. A quelle parole, la strega sentì che qualcosa in lei stava cambiando: uno strano calore che mai aveva provato prima nei lunghi anni sulla montagna, stava crescendo nel suo cuore.

Perché un cuore ce l’aveva sempre avuto, ma era sommerso dalla malinconia, dalla rabbia, dal desiderio di vendetta, rendendola cieca al bello della vita. Però ora il piccolo castello, il placido lago e i suoi numerosi ospiti, avevano saputo ridarle la vista. “Sì, mi fermerò qui con voi” disse la strega, alla quale piano piano i capelli riacquistavano colore e ritornavano dorati e flessuosi come quando era giovane.

“Canterò per voi, rendendo le vostre giornate piacevoli e vi proteggerò, come una mamma fa con i suoi figli. In me troverete nutrimento e riparo e voi sarete per me un’allegra compagnia. Lascerò che la montagna si ricopra di neve d’inverno e di fiori colorati d’estate e farò in modo che sia un luogo di pace e non più di paura. Ed io continuerò a guardarla da quaggiù”.

Così dicendo si lasciò scivolare nell’acqua del lago che l’accolse dolcemente, mentre i suoi capelli, a poco a poco, si sollevavano dalla superficie, trasformandosi in tanti steli sinuosi che danzavano nella brezza lacustre, diventando infine nel tempo luogo di rifugio per molti animali ed insetti.                                                                           

In questo modo era ritornata importante e speciale per qualcuno, ritrovando finalmente la felicità.

Ed il piccolo castello? Ebbene, quello esiste ancora, circondato da una natura meravigliosa e dal grande lago… pronto ad accogliere tutti coloro che vogliano diventare suoi amici e condividere con lui momenti speciali. “

                                      

 

 

 

Giacomo e la strega

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Massimo Paolo Lungu

Come promesso ecco la prima fiaba che si è aggiudicata la terza posizione in classifica per la categoria “bambini scuola primaria nel Primo Concorso Letterario Un paese da Fiaba”.  Ed ecco il suo giovanissimo autore: Massimo Paolo Lungu  che ha esultato contento, quando si è sentito chiamare sul palco per la premiazione!

Questa è la  dolcissima fiaba di Giacomo e la Strega…

“Giacomo era un bambino simpatico, allegro, spiritoso, sempre pronto a giocare e divertirsi. La sua migliore amica era una Streghetta che non era cattiva; in verità era simpatica, gentile e di buon cuore.

Una volta, tanto tempo fa, era stata una strega cattiva, per colpa di un incantesimo lanciato su di lei da uno stregone.

Streghetta abitava nel suo castello e Giacomo andava spesso a giocare da lei. Nelle stanze del castello giocavano a nascondino, a forza quattro, a monopoli.

Non litigavano mai, tranne quando giocavano a nascondino, perché la Streghetta grazie ai suoi poteri, lo trovava sempre.

D’estate andavano al lago a fare il bagno, a prendere il sole, a camminare lungo la passeggiata che porta a Moniga: erano proprio veri amici.

Un giorno, mentre stavano andando per la solita passeggiata, rimasero senza parole: il lago non c’era più, al suo posto c’era una grande buca profonda … Ma dove era finito?

Si guardarono attorno…non c’era più!!!Dovevano trovarlo assolutamente.

Gli abitanti dei paesi che si affacciavano sul lago erano disperati… niente più acqua, niente bagni, niente passeggiate, niente turisti, niente lavoro, anche il clima era diventato più freddo e le piante stavano cambiando. Che fare?

Giacomo scongiurò Streghetta di trovare una soluzione.

Streghetta rispolverò la sua vecchia scopa, fece salire con lei anche Giacomo e volò, volò alla ricerca del lago. Dopo aver girato per giorni e notti, lo trovarono sulla riva del mare… – Cosa fai qui? – Gli chiesero – Tutti a casa ti aspettano. Nessuno può vivere senza di te. –

Il lago spiegò loro che era stufo di stare al suo posto calmo e tranquillo, vedeva sempre le stesse cose e gli era venuta voglia di conoscere il mare. Gli avevano detto che le sue onde erano alte, che era immenso e vedeva tante cose diverse, compresi i pesci e gli uccelli che venivano da ogni parte del mondo.

I due amici capirono il desiderio del lago e rimasero con lui qualche giorno.

Il lago e il mare si raccontarono tante cose, ma poi il lago capì che non era giusto desiderare di essere una cosa diversa da quello che si è. Sentì la nostalgia dei suoi paesini, dei suoi castelli, della sua gente. In fondo gli erano tutti affezionati e lo trattavano bene, lo facevano sempre sentire importante.

Gli mancava tutto questo, quel mare si vantava troppo, inoltre era salato e sempre rumoroso. Così decise di tornare. Tutti fecero festa quando rividero il loro lago sereno e scintillante di nuovo al suo posto”     

Un Paese da Fiaba – i vincitori

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Finalmente ieri abbiamo scoperto i nomi dei vincitori della prima edizione del Concorso Letterario “ Un paese da Fiaba”; la premiazione è avvenuta nell’ambito dell’evento un Pomeriggio da Fiaba organizzato per accogliere tutti gli ospiti intervenuti: un pomeriggio dedicato alla cultura, alla promozione del nostro bellissimo paese, e, cosa molto importante, dedicato alle fiabe.

Un pomeriggio molto bello, trascorso in compagnia di una strega che ha giocato con le bolle, una fatina che ha fatto magie sui volti dei bambini con magnifici colori, una luna sorridente che ha accolto grandi e piccoli sulla sua scia lucente e ha immortalato con uno scatto i loro sorrisi.

E poi, i bellissimi disegni degli alunni della scuola primaria di Padenghe sul Garda, risate, sorprese e meraviglie, sole, e caldo, tanto caldo, e per questo non sono mancate bibite e gelati e poi il momento della premiazione, i vincitori e le fiabe, lette da una bravissima lettrice – credo che anche lei sia una fata! –

Questa prima edizione del Concorso “Un paese da Fiaba” è stata davvero molto bella e soddisfacente; abbiamo ricevuto tantissime fiabe e la nostra giuria – davvero molto bravi – hanno faticato a scegliere le fiabe migliori.

Per noi di Fiabe in costruzione è stato un evento molto importante, perché organizzare questo evento era un piccolo, grande sognoriavvicinarsi alle fiabe vuol dire riconnettersi alla nostra parte bambina, che ci consente di guardare al mondo con meraviglia. Un sogno che è diventato realtà, perciò ora devo fare sentiti e doverosi ringraziamenti:

  • alla Amministrazione Pubblica di Padenghe sul Garda nella persona del nostro Sindaco Patrizia Avanzini che ha reso possibile l’organizzazione del Concorso,
  • all’assessorato della Cultura
  • a Gabriella Alati, consigliere dedicato alla Biblioteca, che per prima ha accolto la mia proposta e l’ha portata avanti, disponibile, instancabile e sempre presente
  • alle referenti della Biblioteca di Padenghe Federica Zanoni e Flavia De Togni, che hanno collaborato e lavorato in ogni momento
  • alla nostra Giuria, che con entusiasmo, cura ed attenzione ha valutato tutte le opere pervenute
  • Alla scuola Primaria e Secondaria di Padenghe sul Garda, e alle sue maestre che hanno saputo coinvolgere tutti i loro piccoli alunni in un modo unico e davvero molto bello – che vi racconterò in seguito –
  • Ad Angela Tizzano che ha letto e interpretato con maestria alcune fiabe vincitrici
  • A tutti i partecipanti al Concorso che hanno messo alla prova il loro talento e la loro fantasia! BRAVI davvero!
  • A tutti colori che sono intervenuti ieri e hanno partecipato al nostro pomeriggio da Fiaba, nonostante il caldo atroce
  • E per ultimo ma non meno importante, un grazie al Temporale che, paziente, ha aspettato la fine dell’evento per scatenarsi al meglio.

Ed ora vi presento i vincitori, i secondi e terzi classificati del Nostro Concorso, e i noi di chi ha ricevuto una menzione particolare per la propria opera:

          Categoria bambini scuola primaria

  • “Pincapolchetta e il castello del lago chi non so”- Autore: Mariasole Lui
  • Valentina, la regina dei suoi sogni” – Autore: Chiara Bertasi
  • “Giacomo e la strega” – Autore: Massimo Paolo Lungu

 

Categoria  scuola media

  • “Il castello che insegnò alla strega le felicità – Autore: Chiara Orio

 Categoria Autori

 Il fantasma, la strega e gl’incantesimi tecnologici” – Autore: Lorenza Bianchi

  • “Il soave canto di Gertrude” – Autore: Giovanni Quaresmini
  • “La leggenda di Tempusfugit” – Autore: Vanni Camurri

 

Menzioni:

  • “ La famiglia Bollò” – Autore: Michela Menasio
  • “Il guardiano della selva” – Autore: Ruggero Forti
  • “Il paese di legno” – Autore: Nicolò Bollani

 

Nei prossimi giorni, altre fotografie dell’evento e le fiabe citate verranno pubblicate su questo blog  e sulla nostra pagine Facebook dedicata al Concorso

Il Concorso “Un paese da Fiaba” continua!

 

Un pomeriggio da fiaba

Il  1° concorso letterario Paese da Fiaba ha trovato i suoi vincitori; la nostra bravissima giuria ha scelto –  scelta non facile, perché gli elaborati arrivati erano tutti meritevoli – i finalisti. Volete sapere i nomi?

Un po’ di pazienza, intanto la sorpresa: il 25 giugno, giorno della premiazione, avrà luogo l’evento un Pomeriggio da Fiaba, organizzato per per accogliervi nel migliore dei modi, proprio come in una fiaba…

Una strega che fa incantesimi con le bolle di sapone, una fatina  che disegna magie sui vostri visi, e la luna sorridente che vi accoglie sulla sua lucente scia

Vi aspettiamo!

volantino

 

Un sacco di fiabe!

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La principessa sul pisello – Patrizia Kovacs

 

Il 30 aprile era l’ultimo giorno utile per inviare le vostre fiabe per il concorso letterario Un Paese da Fiaba   organizzato dal Comune di Padenghe, con la Biblioteca Comunale  di Padenghe con la collaborazione di Fiabe in Costruzione.

GRAZIE!

Siamo davvero contenti;  abbiamo ricevuto un SACCO di fiabe e vogliamo ringraziarvi tutti voi, piccoli e grandi sognatori, per aver partecipato così numerosi, per aver messo alla prova il vostro talento e la vostra fantasia.

La nostra preziosa giuria è già al lavoro per leggere le vostre opere.

A presto nuove soprese… la magia continua!