Curarsi con le fiabe

SAMSUNG CSC

Verena Kast, psicoterapeuta; insegna all’università di Zurigo, e all’istituto C.G.Jung della stessa città. Nel 1985 presentò durante le Settimane di Psicoterapia di Lindau, le interpretazioni di alcune fiabe in una relazione dal titolo “Il significato delle fiabe nel processo terapeutico”.

Da questo relazione, e stimolata dal grande interesse suscitato da questo argomento, la Dott.ssa Kast scrisse poi un libro ” Le fiabe che curano”: il racconto di alcuni casi clinici e del loro trattamento con le fiabe.

Come abbiamo già detto e non ci stancheremo di ripetere mai, le fiabe parlano al profondo dell’essere umano, attraverso simboli e metafore.

Il semplice ascolto della fiaba, se lasciamo che le sue immagini agiscano su di noi, ha già un effetto terapeutico. Già durante a lettura, ci accorgeremo che alcuni motivi ci toccano e ci colpiscono più di altri. Questi motivi diventano indicatori di un nostro stato psicologico, che non siamo in grado di cogliere in un altro modo. I conflitti che non riusciamo a mettere in parole e che spesso si traducono in un ostato di disagio, possono trovare espressione simbolica nell’immagine di una fiaba.”Verena Kast.

Cappuccetto Rosso dei Grimm, la Regina delle Nevi di Andersen, e La principessa sfortunata, una fiaba italiana – la versione originale è trascritta in dialetto siciliano – e recuperata da Calvino, nella sua ricerca di Fiabe Italiane; queste sono solo alcune delle fiabe impiegate dalla Dott.ssa Kast per  accompagnare  i suoi pazienti verso il recupero da diverse situazione di sofferenza e  disagio.

Un racconto molto bello, umano e  a volte anche sofferto: le fiabe in terapia diventano l’oggetto transizionale, nel senso più conosciuto del termine, e continua la sua funzione di abbraccio e supporto anche dopo la seduta con il terapeuta.

Il contatto con le immagini della fiaba promuove l’esperienza di qualcosa di universale; la storia personale e la sofferenza individuale assumono nuovi significati, perchè visti da un punto di vista più ampio, del patrimonio di esperienze dell’intera umanità.”Kast

Inoltre il paziente che si identifica nell’eroe della fiaba, sente che l’aiuto arriva dal personaggio, piuttosto che dal terapeuta, e trova il coraggio per prendere decisioni importanti e sperimentare nuove soluzione creative.

Questi elementi erano presenti nella maggior parte degli esempi da me riportati.” Kast

Un altro elemento comune nei pazienti trattati con le fiabe e la volontà di plasmare con l’immaginazione i simboli incontrati con le fiabe, perché esse offrono una struttura libera,  uno spazio sicuro, su cui basare le proprie fantasie.

L’ elaborazione creativa dei processi simbolici rappresentati nella fiaba,  l’autonomia e l’energia emozionale che ne derivano sono elementi essenziali per la psicoterapia.

Verena Kast -Le fiabe che curano – edizioni Red

la regina delle nevi

disegni di Elena Ringo

La regina delle nevi è la fiaba di Hans Cristian Andersen da cui è stato tratto il più conosciuto film Frozen prodotto della Walt Disney. Come spesso accade la produzione cinematografica si è  discostata molto dalla fiaba originale che è una delle più lunghe e lette dello scrittore danese, che ha il sottotitolo di ” Una fiaba in sette storie”, ognuna delle quali racconta una vicenda.

Ho letto tutte le fiabe di Andersen quando ero piccola e a differenza di altre non le ho più rilette, ma scopro ora, che le riprendo per lavoro, che mi sono rimaste nel profondo, e alcuni particolari mi hanno fatto sentire le stesse emozioni che avevo provato da bambina.

Vi consiglio di leggere La versiona originale della fiaba; è molto bella e ricca di significati.

I protagonisti  sono due bambini Gerda e Kay che  si vogliono  bene e sono sempre insieme:  un giorno uno specchio maledetto creato da un Troll malvagio si rompe in mille pezzi, ed uno di questi, colpisce  Kay nell’occhio e lo fa diventare freddo e cattivo.

Kay  si allontana da tutti anche da  Gerda, ed un giorno mentre gioca da solo incontra la Regina dei ghiacci, una donna che ha sofferto troppo per amore, ed è diventata gelida nel cuore. La Regina lo prende con sè conducendolo nel suo castello di ghiaccio e  con un gelido bacio lo imprigiona nel suo incantesimo. Gerda, che non accetta di lasciare Kay al suo destino, parte da sola  alla sua ricerca e dopo diverse peripezie – l’incontro con i briganti, con due cornacchie, con due vecchine, con due principini e con una renna –  e  dopo diversi anni di cammino, riesce a ritrovare il suo amico e, con il suo pianto, a smuovere il giaccio che l’incantesimo della regina gli aveva  buttato nel cuore. Kay commosso piange a sua volta e fa uscire il pezzo di specchio maledetto che aveva nell’occhio. I due bambini, ormai adulti si ritrovano per sempre.

Terza storia. Il giardino fiorito della donna che sapeva compiere magie

Nella terza parte Gerda, disperata per la scomparsa di Kay, decide di andare a cercarlo. Sale su una barchetta e chiede al fiume in cambio delle sue scarpette rosse, di portarla da Kay. La barca si arena nei pressi di una casetta in mezzo ad un giardino di fiori, dove vive una vecchia maga. La maga incanta Gerda facendole dimenticare Kay e fa scomparire tutte le rose del giardino sottoterra, affinché queste non le ricordino il suo amico perduto. Ciononostante, dopo qualche tempo Gerda vede una rosa dipinta, si ricorda di Kay e, dopo aver interrogato invano tutti i fiori del giardino, riparte alla sua ricerca. Nel frattempo è arrivato l’autunno”

Gerda parte per un viaggio, alla ricerca di Kay, ch è un viaggio interiore, metafora del passaggio da bambina alla vita da adolescente. Le scarpette rosse, le preferite di Gerda – simbolo che compare anche in altre fiabe di Andersen e che per l’autore, probabilmente, rappresentavano il sentimento negativo dell’autocompiacimento, della seduzione (basta pensare alla fine terribile della protagonista di Scarpette Rosse)-  che la bambina lancia nel  fiume per avere in cambio aiuto, rappresentano l’umiltà di Gerda che è pronta a spogliarsi dell’effimero e del superfluo per raggiungere il suo scopo.

Gerda incontra diversi personaggi nel suo lungo cammino – quasi un viaggio in una dimensione onirica – e  alcuni di questi, come accade spesso nelle fiabe, l’aiutano e le fanno da guida interiore.

La bimba, ormai diventata grande, capisce che la forza per superare i propri ostacoli è dentro di sè, e che il potere dell’amore può cancellare ogni incantesimo.

Molto le differenze con il film Frozen, altrettanto bello e significativo. Le due protagoniste, le principesse Anna ed Elsa sono sorelle, ed Elsa che ha il dono di creare il gelo, diventa la regina del ghiaccio e sceglie la solitudine perchè incapace di controllare il suo potere –  con il quale farà male alla piccola Anna.  Anche in questa storia, alla fine,  il calore dell’amore vero saprà  sciogliere il gelo nei cuori.

Anna è la protagonista, vitale, allegra, innamorata, pasticciona e divertente. Elsa è gelida, controllata e solitaria. Se chiedete ad ogni bambina duenne in su, chi è la preferita del film Frozen, risponderà Elsa.

Ho svolto anch’io la mia piccola e personale indagine, fra nipotina e figlie di amiche, e la risposta è sempre stata la stessa: Elsa è la preferita e questo mi stupisce perchè non solo Anna è la protagonista, ma è simpatica, ed è lei che  si innamora, e che vive l’avventura più bella.

Per la soluzione vi rimando ad un interessante articolo: Frozen da figlia diversa a donna moderna  scritto  della Dott.ssa Antonella Bastone, pedagogista che si occupa di educazione e formazione – ha scritto tra l’altro un bel libro sulla formazione agli adulti con l’utilizzo delle fiabe –

Elsa è una bambina diversa che non sa gestire il proprio potere – le proprie emozioni – e viene isolata dai propri genitori prima, ma sarà lei, poi,  a isolarsi dal mondo per non nuocere a chi ama.

Le vicende che seguono, tra azioni avventurose e slanci di grande divertimento, la porteranno ad un profondo ripensamento della propria diversità e allo struggente desiderio di riscatto personale. La figura che emerge è quella di una donna moderna, complessa, consapevole della sua ambivalenza interiore, ma soprattutto caratterizzata da un’evidente autosufficienza affettiva. Elsa non aspetta nessun Principe Azzurro e l’unica storia d’amore dell’intera vicenda non riguarda lei, ma la sorella Anna, personaggio molto più semplice e prevedibile.

Elsa è una donna matura, introspettiva, che ha imparato a gestire le sue emozioni. E che regna su  Arendelle, da sola.” Bastone

Il soldatino di stagno

tinsoldat-1

Due bambini, fratello e sorella, ricevono in dono un castello di carta, con figurine di carta, tra cui una ballerina con un lustrino dorato sul petto e un gruppo di 25 soldatini di stagno. A uno dei soldatini manca un pezzo di gamba perché è stato fuso dopo gli altri, con lo stagno avanzato. Ogni notte, quando i bambini sono addormentati, i loro giocattoli prendono vita. Il soldatino senza una gamba si innamora della ballerina di carta.
Fra i giocattoli c’è un troll a forma di diavolo, geloso del soldatino di stagno, che lancia una maledizione sulla coppia condannandola a non essere mai felice. Il giorno dopo, infatti, il soldatino cade fortuitamente dal davanzale della finestra. Trovato in terra da due bambini, viene messo su una barchetta di carta e spinto in mare; la barca stessa poi affonda e il soldatino viene mangiato da un pesce. Per tutto il tempo, il soldatino resta coraggiosamente sull’attenti, col chepì dritto in testa.
Miracolosamente, il pesce viene pescato e finisce proprio nella cucina della casa da cui proviene il soldatino; recuperato dal cuoco, torna fra i giocattoli e dalla sua amata ballerina.
La crudeltà del troll però non è sconfitta; il soldatino finisce questa volta nel fuoco, e inizia a sciogliersi. Nella stanza dei bambini, però, viveva una buona fata. Impietosita dalla sventura del soldatino, la fata ordina che il soldatino sia salvato e viva per sempre felice. Allora, un vento delicato fa volare nel fuoco anche la ballerina. Il giorno successivo, dei due non rimane che un cuoricino di stagno e un lustrino annerito dal fuoco. Era ciò che rimaneva di un grande amore.

Il soldatino di stagno è una fiaba di Hans Christian Andersen pubblicata nel 1838.

Per anni ho dimenticato le fiabe di Andersen e mi sono resa conto, rileggendole ora da adulta, di quanto certi particolari fossero ben presenti nella mia memoria, particolari che mi avevano colpito, come l’amore impossibile del soldatino e la ballerina, o la scheggia maligna nell’occhio di Kay (la Regina delle Nevi). Solo ora mi rendo conto della loro bellezza e del loro profondo significato, credo, perchè da piccola non potevo capire il senso di tristezza che le pervade.

Andersen ebbe una vita molto particolare e  sofferta che traspare nelle sue fiabe; a differenza dei Grimm, che raccoglievano le storie della tradizione popolare, le sue storie sono create dalla sua fantasia e dagli episodi che hanno segnato la sua vita. Rimasto orfano di padre a 11 anni, visse con la madre nella povertà per lungo tempo; bellissima la figura di questa madre, quasi analfabeta, che credeva tantissimo in lui, anche per una profezia che le disse una vecchia strega “Un giorno Odense (la città in cui è nato) si illuminerà a festa per ricevere tuo figlio”, e che gli raccontava racconti e leggende tradizionali.

Andersen porta nelle sue fiabe la sua diversità, sia fisica: era sgraziato e non bello – Il brutto anatroccolo ad esempio – sia sessuale: innamoratosi di un giovane e deciso, fin da giovane, a non avere rapporti sessuali né con donne né con uomini – e nemmeno a sposarsi – idealizzò la sua emarginazione sentimentale nelle passioni incompiute delle sue fiabe: La Sirenetta, ad esempio o il Soldatino di Stagno.

Le sue storie sono rivolte ad un pubblico infantile, certo, ma anche e soprattutto ad un pubblico adulto: poco presenti figure magiche come streghe, fate o gnomi, troviamo invece animali o cose che parlano che rappresentano la natura umana ma in chiave di parodia si fanno beffe della categoria umana stessa, definendo il paradosso della incomunicabilità dell’uomo (Simonetta Caminiti). I suoi finali sono spesso macabri e legati alla morte: il soldatino che nella morte trova l’adorata e bellissima ballerina di carta. Il cuore e la stella sotto la cenere sono la prova della loro trovata felicità.

La reale convinzione di Andersen è che per aspirare al bene è necessario passare attraverso la sofferenza: i suoi personaggi, i quali cercano con tutte le loro forze, e spesso invano, di essere accettati tocca aspirare al cielo perché si comprenda che erano essere speciali (Simonetta Caminiti).