Il Re

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Illustrator Irina Dobrescu – Ed Nord-Sud

C’era una volta un Re… non iniziano così tutte le fiabe? Ma i Re delle fiabe non sono sempre  figure giuste e amorevoli: Il Re delle Fiabe può essere capriccioso e terribile come il Re di  Pel di Topo che chiede alle proprie figlie quanto lo amino e quando la più giovane risponde che lo ama come il sale, non contento della sua risposta,  ordina ad un servo di condurla nel bosco ed ucciderla.

Può essere meschino e concedere le  proprie 3 figlie rispettivamente ad un orso, un’aquila e una balena  per salvarsi la vita, come ne Le tre sorelle dei Grimm o autoritario e disporre della vita della propria figlia dandola in sposa al primo mendicante che busserà all aporta per punirla della sua  superficialità, come ne il re Bazza di Tordo.

Come ogni figura negativa delle fiabe anche il Re ingiusto  che abusa del proprio potere genitoriale per disporre della vita dei propri figli , soprattutto femmine, ha il compito fondamentale di aiutarli nella propria crescita personale e di vita.

Nella fiaba Dognipelo dei Fratelli Grimm, di cui esistono differenti versioni tra cui  –Pelle d’asino di Perrault –  il Re è innamorato perdutamente della sua bellissima regina, ma alla sua morte, le promette che si sposerà solo con  una donna più bella di lei. Il Re disperato non trovando donne alla sua altezza si rende conto che l’unica donna, bella altrettanto come sua regina, è proprio la loro figlia, e decide di sposarla.

La figlia terrorizzata dagli intenti incestuosi del padresimbolo del genitore iperprotettivo che  fatica a riconoscere l’autonomia  alla figlia e la  spinge  ad allontanarsi dal legame genitoriale, una ribellione necessaria raggiungere la propria autonomia –  chiede di confezionare per lei 3 abiti fatti di luce, cielo e sole, e poi un mantello fatto di pelliccie d’animale – nel caso di Pelle d’asino, fatto della pelliccia dell’asina che il padre predilige.

Infine Dognipelo scappa dalla sua casa per sfuggire alla bramosia del padre – allontanamento dal genitore e dal nucleo familiare indispensabile per il passaggio dall’età adultae sporcandosi con la cenere per rendersi brutta, e lavorando come sguattera – come Cenerentola deve  passare attraverso le difficoltà per andare profondamente nel proprio sè e raggiungere l’auterealizzazione, con l’aiuto dei 3 abiti che il padre ha fatto confezionare per  lei;   il genitore vuole proteggere i propri figli cercando di tenerli legati a sè ma non  fa mancare il suo supporto per accompagnarli  nel loro cammino di vita.

Alla fine il principe del castello in cui lei lavora come sguattera , si accorge  della sua bellezza e innamoratosi di lei, decide si sposarla, e al matrimonio Dognipelo vuole invitare il padrenon può mancare – che, libero dalla sua malattia per lei –  il genitore accetta che la propria figlia abbia raggiunto la propria autonomia – la abbraccia, felice della sua raggiunta realizzazione come donna adulta.

 

 

I tre linguaggi

il suonatore

Illustrator – Patrizia Kovacs

C’era una volta in Svizzera un vecchio conte che aveva un unico figlio, ma così stupido che non riusciva a imparare nulla.
Allora il padre disse: -Ascolta, figlio mio, per quanto io faccia non riesco a cacciarti niente in testa.
Devi andare via di qui; maestri insigni proveranno a fare ciò che io non ho potuto-.
Il giovane fu così mandato in un’altra città e rimase presso un maestro per un intero anno.
Trascorso questo periodo, tornò a casa e il padre gli chiese: -Ebbene, che cosa hai imparato?- Il figlio rispose: -Babbo, ho imparato quello che dicono i cani-.
-Dio guardi!- esclamò il padre -è tutto qui? Devi andare in un’altra città, presso un altro maestro.- Il giovane andò e, anche questa volta, vi si fermò un anno.
Quando ritornò, il padre disse: -Ebbene, che cosa hai imparato?-.
Il figlio rispose: -Babbo, ho imparato quello che dicono gli uccelli-.
Allora il padre andò in collera e disse: -Sciagurato.
Hai perduto tutto quel tempo prezioso senza imparare nulla, e non ti vergogni di comparirmi davanti? Ti manderò da un terzo maestro, ma se anche questa volta non impari nulla, non voglio più essere tuo padre-.
Così il giovane fu portato da un terzo maestro presso il quale rimase un altro anno.
Quando finalmente ritornò a casa, il padre gli chiese: -Ebbene, che cosa hai imparato?-: -Caro babbo- rispose -quest’anno ho imparato quello che gracidano le rane.- Allora il padre andò su tutte le furie, balzò in piedi, chiamò la servitù e disse: -Quest’essere non è più mio figlio, io lo scaccio e vi ordino di condurlo nel bosco e di ucciderlo-.
Essi lo presero e lo condussero fuori, ma al momento di ucciderlo ne ebbero pietà e lo lasciarono andare.
Poi strapparono a un capriolo gli occhi e la lingua e li portarono al vecchio come prova della sua morte.”

I tre linguaggi dei Fratelli Grimm,  è una fiaba antichissima che fu raccontata in molti paesi dell’Europa e dell’Asia, e che tratta un tema ancora molto attuale: il rapporto fra figli adolescenti e genitori; quest’ultimi hanno spesso grandi aspettative per il futuro dei propri figli, e non riescono a comprendere le loro scelte e le loro motivazioni. 

Il figlio cacciato dalla casa paterna – un evento che succede sovente nelle fiabe e simboleggia il desiderio inconscio del genitore che il figlio raggiunga l’autonomia – andrà in giro per il mondo e grazie alle conoscenze che ha acquisito, i tre linguaggi-  sposerà una principessa e, arrivato a Roma,  diventerà addirittura Papa.

Questo giovane è un adolescente alla ricerca di sé stesso che cerca la propria realizzazione e l’otterrà solo dopo essere andato lontano da casa; i tre insegnanti lontani, che il padre ha scelto per lui, simboleggiano degli aspetti del proprio inconscio che il giovane deve sperimentare per conoscersi –  questo processo avviene solo quando il figlio si distacca dai genitori –  e per realizzarsi 

I suoi bisogni non sono compresi dal padre che lo ritiene stupido perchè  impara cose diverse da  quello che gli insegnanti, che lui ha scelto – gli hanno impartito.

Il genitore non sopprime il figlio ma incarica del misfatto un servitore e questi libera il ragazzo; ciò suggerisce che ad un livello, il conflitto non è con gli adulti in generale ma soltanto con i genitori” B.Bettelheim – Il mondo incantato

L’adolescente teme inconsciamente il potere di vita e di morte che il genitore ha su di lui, un potere che però il genitore non esercita – nella fiaba per quanto sia furioso con il figlio, incarica un servitore di ucciderlo – e il suo piano non viene eseguito:  ciò simboleggia  che quando il genitore tenta di abusare del proprio potere,  in realtà è impotetnte.

“Forse se un numero maggiore di adolescenti fossero stati educati attraverso le fiabe, essi rimarebbero consapevoli – a livello inconscio – che il loro conflitto non è con il mondo degli adulti, o con la società  in generale, ma soltanto con i loro genitori” Bettelheim

Per quanto i genitori possano sembrare minacciosi, per un certo periodo – l’adolescente teme inconsciamente il loro potere – la fiaba insegna che i figli non solo sopravvivono ai genitori ma li superano: i finali delle fiabe lo mostrano ampiamente e i protagonisti bambini e/o adulti riescono sempre a superare le fasi conflittuali  legati al rapporto con stessi e con  i propri genitori:  questa convinzione  permette all’adolescente di sentirsi sicuro nonostante tutte le difficoltà e le paure che lo accompagnano nell’età dello sviluppo, perchè ha fiducia nella sua vittoria futura.

“Naturalmente, se un numero maggiore di adulti fossero stati espostida bambini – ai messaggi delle fiabe e ne avessero approfittato, avrebbero potuto conservare da adulti una vaga idea di quanto sia sciocco il genitore che crede di sapere quale indirizzo di studi dovrebbe interessarea suo  figlio, e che si sente minacciato se, in questo , l’adolescente va contro la sua volontà”. Bettelheim – Il mondo incantato.

Evviva i cattivi

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“La vecchia fingeva di essere benigna, ma era una cattiva strega, che insidiava i bambini e aveva costruito una casetta di pane che aveva costruito soltanto per attirarli. Quando un bambino cadeva nelle sue mani, l’uccideva, lo cucinava e lo mangiava; e per lei quello era un giorno di festa. Le streghe hanno gli occhi rossi e la vista corta, ma hanno un fiuto finissimo, come gli animali, e sentono l’avvicinarsi di creature umane. E quando si avvicinarono Hansel e Gretel, ella rise malignamente e disse beffarda: “Sono in mio potere non mi scappano più”. Di buon mattino, prima che i bambini fossero svegli, si alzò, e quando li vide riposare così dolcemente, con le gote rosse e tonde, mormorò fra sé: ‘ Diventerà un buon boccone ‘. Afferrò Hansel con la mano rinsecchita, lo portò in una stia e lo richiuse dietro un’inferriata; e per quanto egli gridasse, non gli giovò. Poi essa andò da Gretel, la svegliò con uno scossone e gridò: “Alzati, poltrona, porta l’acqua e cucina qualcosa di buono per tuo fratello, che è là nella stia e deve ingrassare. Quando è grasso, voglio mangiarmelo”. Gretel si mise a piangere amaramente, ma fu tutto inutile, dovette fare quel che voleva la cattiva strega”.

Hansel e Gretel dei fratelli Grimm è una delle fiabe più conosciute e una delle più “cattive”: i genitori troppo poveri per sfamare i propro figli decidono di abbandonarli e la terribile strega li cattura per mangiarli.

Il tema forte dell’abbandono, e  il tradimento del genitore, della madre soprattutto che è considerata la fonte principale di nutrimento per il bambino, simboleggiano le ansie e le paure insite nel percorso di crescita, nel distacco dalla famiglia e nella ricerca della propria autonomia. E la figura della  strega cattiva simboleggia la   punizione per il bambino per la sua avidità orale, perchè cede alle tentazione di mangiare la casa di marzapane – chi non vorrebbe darle un bel morso – e soddisfa così i propri primitivi desideri.

Le fiabe popolari, tramandate nella tradizione orale e poi trascritte dai grandi autori, anche se via via, nelle varie e successive versioni edulcorate e addolcite dalle originali, pongono il bambino di fronte ai principali problemi umani, problemi esistenziali che interessano non solo i piccoli ma anche i grandi, che spesso si portano nella vita adulta il pesante fardello di situazione non affrontate e irrisolte.

La moderna letteratura per l’infanzia è priva di questi riferimenti, ma il confronto con essi, per il bambino è fondamentale; è necessario per lui avere suggerimenti in forma simbolica per affrontare le difficoltà della vita. I messaggi delle fiabe arrivano al suo inconscio e lo guidano.

C’era una volta una madre che aveva tre figlie; la maggiore era superba e cattiva, la seconda era già molto meglio, per quanto avesse anche lei i suoi difetti, ma la più giovane era una bimba buona e pia. Pure, la madre era così bislacca che prediligeva proprio la maggiore e non poteva soffrire la minore” San Giuseppe nel bosco – F.lli Grimm

Nelle fiabe il male è presente tanto quanto il bene, come è  nella vita reale e nell’essere umano, che ha in sè entrambi. Questo dualismo è la base del problema morale, che chiede la lotta per superarlo.

Molti genitori, e anche qualche addetto al lavoro, pensano che certe fiabe, soprattutto nelle loro versioni originali siano poco adatte al mondo infantile.
C’è un diffuso rifiuto a permettere al bambino di sapere che gran parte degli inconvenienti della vita sono dovuti alla nostra stessa natura; alla propensione di tutti gli uomini ad agire in modo aggressivo, asociale, egoistico, spinti dall’ira e dall’ansia”. Si vuole far credere al bambino che l’essere umano è intrinsecamente buono, ma i bambini stessi sanno di non essere sempre buoni, e ciò, in opposizione a quanto detto dai genitori, fa nascere l’idea al bambino di essere un mostro.” Il mondo incantato B. Bettelheim.

Si vuole nascondere ai bambini, ma spesso anche gli adulti preferiscono non saperlo, il lato oscuro presente in ognuno di noi.
“… La fiaba semplifica le situazioni. I suoi personaggi sono nettamente tratteggiati, e i particolari, a meno che non siano molto importanti, sono eliminati. Tutti i personaggi sono tipici anziché unici.” Bettheleim

Nelle fiabe il male e il bene sono sempre ben delineati; i personaggi sono o buoni o cattivi, non ci sono mezze misure; il carattere di ognuno è ben tracciato, e il bambino può facilmente identificarsi; può imparare ad accettare e a convivere con il proprio lato oscuro, perché lo vive indirettamente attraverso il racconto; sa che esiste, ma sa anche il buono della fiaba, normalmente l’eroe, avrà poi la meglio sul male.

E a proposito della strega di Hansel e Gretel: la figura della strega esiste nella fantasia ansiosa di ogni bambino,” ma una strega che egli può spingere nel forno e farla bruciare viva è una strega di cui il bambino può ritenersi liberato.” Bettlheim – Il mondo incantato.