Il cucù

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Illustrator Patrizia Kovacs

26° giorno di Avvento.

-Nonna ci racconti la storia del tuo orologio a cucù? – chiese Keil. Era incantato da quel vecchio orologio; quando la nonna gli dava il permesso, stava ore a guardarlo, a studiare i minimi particolari, la piccola casina con le finestrelle sempre aperte;  i piccoli pupazzi di neve e gli alberi di natale. Tutto era minuscolo e perfetto. Lo guardava e aspettava che ad ogni ora, si aprisse la finestrella per far uscire l’uccellino  intagliato nel legno, per sentire il suo  piccolo canto. Ma da tanto tempo il vecchio orologio non funzionava più, e la nonna lo conservava con cura e attenzione perché per lei era un ricordo prezioso.

Era un orologio antico; suo nonno lo aveva creato, intagliando con cura ogni piccolo pezzo di legno, e lei, una bimba con occhi sognanti, sedeva al tavolo accanto a lui e lo guardava lavorare. Era un tempo prezioso; il nonno le raccontava storie di regine e fate e lei guardava incantata le sue mani lavorare con maestria il legno fresco di faggio, che ancora profumava di resina e verde.

Quando l’orologio era finito, anche lei come Keil stava  ore a guardarlo, solo per vedere l’uccellino che sbucava dalla finestrella ma in realtà dopo un paio di volte il meccanismo si era rotto, l’uccellino non usciva   più e l’ orologio aveva smesso di segnare  le ore, e quando  lei  in lacrime aveva chiesto al nonno di ripararlo lui le aveva spiegato che quello era il destino delle cose e andava rispettato.

-il compito di questo cucù non è segnare  le ore, quelle vere intendo, ma è quello di segnare le ore che noi desideriamo, per fermare il tempo a qualcosa che non vogliamo  dimenticare-

-E’ un orologio magico? – aveva chiesto allora lei speranzosa.

-Proprio così, e l’uccellino è il custode dei nostri ricordi –

Così la nonna aveva di volta in volta segnato le ore che appartenavano ai momenti più importanti della sua vita, per non perderli nella confusione della memoria. Guardava l’orologio e ricordava, ogni piccolo attimo prezioso…

La nonna prese con attenzione l’ orologio a cucù e poi chiamò Gemma e Keil vicino a lei. I due bambini come sempre guardarono incantati il vecchio legno intagliato e la nonna guardandoli uno accanto all’altro, segnò la nuova ora preziosa, indelebile nel suo cuore.

 

Il pastore

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Illustrator Patrizia Kovacs

Il pastore si alzò da terra con un sospiro: era ora di andare, cominciava a fare buio e faceva molto freddo. Doveva riportare le sue pecore nella stalla, e poi avrebbe mangiato una zuppa calda, si sarebbe scaldato un po’ al fuoco e poi, come al solito, si sarebbe appisolato sulla scomoda poltrona di tessuto rovinato.

Ogni giorno passava così e a dire il vero lui non chiedeva altro. Nemmeno sapeva che c’era dell’altro; non aveva voluto moglie per non affrontare l’amore, non aveva mai desiderato figli per non vedere disilluse le sue aspettative. Aveva le sue pecore, e loro erano sempre le stesse. Facevano sempre le stesse cose; era rassicurante.

Ma quel giorno qualcosa cambiò: il pastore contò le sue pecore e si accorse che ne mancava una, la più piccola, e si rese conto in quel momento, la sua preferita, forse perché quando voleva un po? di cibo, si avvicinava a lui piano e spingeva, con delicatezza, il muso sul suo braccio.

Si guardò intorno e non vide niente, anche perché era sempre più buio. Con un nuova pena nel cuore decise di andare a cercarla, e chiamando a sé le altre pecore, si incamminò verso la collina da dove stava spuntando una pallida luna. La sera era gelida e il cielo era terso, e il pastore per la prima volta si fermò a guardare lo spicchio di luna che sembrava andargli incontro. Che spettacolo pensò suo malgrado. Si fermò e guardando  in alto, si rese conto delle stelle e fu invaso dall’immensità del cielo; per un attimo gli mancò il respiro.

Si sentì piccolo, di fronte a quell’immensità e nello stesso tempo si sentì di farne parte.

Sentì un nodo allo stomaco, e nemmeno si accorse delle lacrime che cominciavano a rigargli il viso segnato dal tempo.

-Perché era triste, nonna?- volle sapere la piccola Gemma.

-Non era triste a dire il vero- rispose la nonna – era felice, per la prima volta in vita sua, era felice.

Si sedette per terra, sull’erba fredda, circondato dalle sue pecore che lo scaldavano con il loro fiato caldo.

Restò a lungo seduto per terra, facendosi tutte le domande che non si era mai fatto, e desiderando tutto quello che non aveva mai desiderato, piangendo tutte le lacrime che non aveva mai pianto. Si mosse solo quando sentì belare la sua pecorella smarrita e la trovò incastrata in in grosso cespuglio di more. Con delicatezza la liberò dai rami e la strinse a sé,  come avrebbe fatto con un figlio, e tornò a casa, camminando piano, sentendosi vivo, mentre la luna, complice, gli illuminava la strada.

 

Il rosso uccellino

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Illustrator Patrizia Kovacs

24° giorno di Avvento

La neve sul davanzale era candida e intatta e la piccola Gemma, che stava guardando incantata il paesaggio imbiancato, si accorse improvvisamente delle piccole tracce, che leggere la disegnavano.

-Nonna, guarda!- gridò agitata – Cosa sono queste?

La nonna guardò fuori dalla finestra con attenzione e poi esclamò;

-Sono orme di uccellino- e per un attimo si fermò a ricordare, e i suoi occhi di vecchia si inumidirono. Le succedeva sempre più spesso con i ricordi.

-Un uccellino!? – Keil era agitato.

-Evviva, un uccellino – disse Gemma contenta, ma poi aggiunse subito preoccupata:

-Come fanno a mangiare gli uccellini quando nevica? –

– Chissà che freddo sentiranno- disse Keil

-Mettiamo un po’ di briciole di pane sul davanzale così  se torna,  avrà qualcosa da mangiare- disse la nonna e provò la stessa emozione di quando da bambina  lasciava le briciole di pane sul davanzale  della sua cameretta. La mamma le aveva detto che quando un uccellino dal petto rosso si posava  sul davanzale di casa voleva dire che qualcuno che ami ed è lontano da te, ti pensa e ti è vicino; portano un messaggio d’amore, per questo hanno il petto rosso, perché parlano al cuore.

Subito Keil e Gemma aprirono la finestra e lasciarono un po’ di briciole sulla neve, e poi rimasero a guardare a lungo, sperando di vedere arrivare un piccolo uccellino. Anche la nonna rimase con loro sperando con il suo cuore di bambina di poterlo vedere; molti di quelli che amava erano ormai tanto lontano da lei.

La mattina, quando si svegliarono Gemma e Keil andarono subito alla finestra, seguiti dalla nonna, per vedere se c’erano ancora le briciole di pane, e con gli occhi pieni di  meraviglia, videro un piccolo pettirosso che, posato sul davanzale, cantava il suo messaggio d’amore.

I colori di Sofia

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“«Chi sei?», le chiede piano.
«Sono la Tristezza, non vedi?». Risponde con tono lamentoso la forma scura.
«E cosa fai?»
«Domanda sciocca!». Risponde con un sospiro la Tristezza.

«La mia mamma mi ha detto che nessuna domanda è sciocca, quando vuoi sapere il perché delle cose», risponde quieta Sofia.”

Una fiaba per il tuo natale, da regalare o perché no, da regalarti.  I colori di Sofia, dedicata a chi vede solo il buio e ancora non sa che si può colorare.

Con i disegni di Chiara Petrillo

 

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illustrator Patrizia kovacs

 

 

L’ANGELO VIOLA

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Nella quarta Domenica D’Avvento

un meraviglioso Angelo

appare in cielo.

Dio non si dimentica della terra

e dona

i suoi semi.

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Mr. and Mrs. Frosty

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Illustrator Patrizia Kovacs

21° giorno di Avvento

Si erano conosciuti tanto tempo fa, quando erano ancora giovani. Era la vigilia di Natale e aveva nevicato tutto il mese, e il vento gelido non dava tregua. Nonostante questo i bambini si stufavano a stare chiusi in casa, così un pomeriggio uscirono a  giocare con la neve;  prima si tirarono le palle di neve, e giocarono a rincorrersi, e poi decisero di costruire un bel pupazzo di neve. Uno mise la sua sciarpa rossa, l’altra portò i bottoni di un vecchio cappotto della mamma, e un’altra portò una patata, e  un vecchio paralume che non funzionava più; ed ecco occhi, naso e un bel cappellino per il pupazzo di neve che, appena ebbe gli occhi, si guardò intorno, con grande meraviglia e curiosità.

-Chiamiamolo Mr. Frosty- disse uno dei bambini.

Che bel mondo era quello. Tanti bambini con cui giocare,  e un bel vento gelido che lo temprava, e ogni giorno i bambini andavano a trovarlo.

Ma nonostante questo dopo un po’, il pupazzo di neve si sentiva solo. Ma non c’erano altri pupazzi come lui al mondo? Era così triste che nonostante il freddo, il naso a patata continua a scivolare giù!

Una delle bambine se ne accorse, lo guardò a lungo e poi disse agli altri – E’ così solo poverino, facciamo un altro pupazzo, così avrà compagnia.-

Detto, fatto. Una mantellina rossa, un paralume, questo funzionate, rubato alla nonna che dormiva, due bottoni, e una carota. Ecco un altro bel pupazzo di neve.

Mr. Frosty guardava senza farsi vedere, non voleva fare il maleducato, non si fissano le persone, ma quando il pupazzo fu finito rimase incantato a guardarla: era una bellissima pupazzo di neve, con deliziosi occhi di bottone azzurri, oltre ai quali lui vedeva la sua  anima pura.

Anche lei si guardò intorno con meraviglia e stupore, ma la prima cosa che vide fu proprio lui, Mr Frosty, e rimase senza parole.

Da allora furono inseparabili. Mr Frosty aveva trovato la sua signora. Facevano lunghe passeggiate nei boschi, e lui raccoglieva per lei i ciclamini che impavidi spuntavano fuori dalla neve. Quando arrivava la primavera, si spostavano sulle punte più alte, per trovare il freddo che li faceva sentire bene. Erano davvero una bella coppia!

-Oh nonna voglio tanto vederli, posso?- dissero insieme i piccoli Gemma e Keil.

-Mr e mrs Frosty tornano ogni anno a dicembre in questi boschi, dove sono nati. – rispose la nonna. – Tornano a trovare i bambini che li hanno creati e che li attendono da allora  ogni natale;  ancora oggi, anche se non sono più bambini, anche se sono diventati grandi,  tanto grandi, non vedono l’ora di rivederli…

 

Storia di un abete

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Illustrator Patrizia Kovacs

La piccola Gemma guardava fuori dalla finestra il paesaggio innevato, illuminato dal candore della neve che aveva smesso di cadere. Tutto sembrava diverso, perché la neve dava forme morbide ad ogni cosa, e le rendeva magiche.

Anche il piccolo abete davanti a casa aveva gli esili rami piegati dal peso della neve, e per il gelo,  sulle sue punte si erano formati minuscoli ghiaccioli che luccicavano come piccoli cristalli.

Gemma gridò: – il nostro Abete di Natale!-  troppo contenta perché ne aveva desiderato tanto uno.

Anche Keil arrivò alla finestra e guardò sorpreso il piccolo abete che sembrava vestito a festa.

-Nonna possiamo uscire a vedere il nostro abete di Natale?- La nonna si era svegliata alle grida di Gemma.

Si infilarono le giacche pesanti e uscirono sul prato davanti a casa.

-E’ bellissimo- dissero insieme  Keil e Gemma, perché i cuori semplici possono veder la bellezza anche nelle piccole cose, e il piccolo abete, fiero, non sentì più il peso della neve e il solletico del ghiaccio sulle sue punte, e si fece più dritto per mostrarsi meglio.

La piccola Gemma si slegò il nastro rosso che le legava i capelli -lei adorava quel nastro – e lo donò all’abete , avvolgendo con esso la sua punta con un bel fiocco.

-Non ho mai visto un abete di natale più bello- disse Gemma soddisfatta.

La nonna, avvolta nel suo scialle, era rimasta davanti alla porta di casa e si commosse: anche lei non ne aveva mai visto uno più bello.

 

 

 

 

 

Il dondolo

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Illustrator Patrizia Kovacs

 

Il mercatino di Natale era illuminato da luci multicolori e ogni bancarella era colma di visitatori che compravano cibo e regali per l’imminienteNatale. La più visitata era quella dei giocattoli, colma di  bambole, orsetti, case per le bambole, trenini, e macchinine. Erano giochi meravigliosi.

Alla fine della serata il venditore della bancarella dei giocattoli, che aveva venduto tanti giochi, sistemò le sue cose per chiudere e andare a casa. Stava iniziando a nevicare ed era ormai buio e poche persone si attardavano alla bancarella che vendeva ottimo stufato e vino.

Mentre riponeva i giocattoli rimasti, il venditore vide la vecchia renna a dondolo, con il legno e il sedile rovinato dal tempo e i colori sbiaditi. Da tanto tempo nessuno la guardava più e nemmeno era interessato a comprarla, così decise di buttarla nella spazzatura. Sicuramente non l’ avrebbe mai  venduta.

-Povera Renna – sussurrò  la piccola Gemma, perchè la nonna continuava a dormire.

Keil – ora era lui a raccontare una storia – continuò.

L’uomo, che stava tornando a casa dopo aver cercato tutto il giorno di recuperare qualcosa da mangiare, passò per caso accanto al mucchio di spazzatura del mercato e vide la vecchia renna a dondolo abbandonata su un mucchio di stracci. Si fermò; guardò il legno rovinato e i colori slavati, e pensò che poteva essere un dono meraviglioso per i suoi due bambini che non ricevevano regali da tanto tempo. Così se la caricò sulle  spalle e quando arrivò a casa, i suoi due bambini furono immensamente felici per il dono, e non badarono al legno vecchio e ai colori rovinati; per loro era un regalo bellissimo. La vecchia renna a dondolo fu messa al centro della stanza e i due bambini giocarono con lei per tutta la sera.

Era la vigilia di Natale e i due bambini andarono a dormire agitati e contenti.  La renna a dondolo rimase  nel buio della notte; tutto era silenzioso, la neve scendeva copiosa e il camino crepitava allegramente nella stanza. Fu allora che  la vecchia renna si mosse: tirò le lunghe zampe stirandosi, scosse un po’ il grosso capo, e fece un sospiro soddisfatto. L’aspettava un gran lavoro, perché lei era una delle renne più antiche ed importanti  di Babbo Natale, e il grande Vecchio la stava chiamando; era ora di  prepararsi per portare i regali a tutti i bambini del mondo. Mentre stava per andare, si accorse che i due fratellini, con gli occhi assonnati la stavano guardando sorpresi; avevano sentito dei rumori e si erano svegliati.

La vecchia renna li guardò pensierosa; non era permesso ai bambini di vedere le renne di Babbo Natale. Ma loro erano stati tanto gentili con lei e non avevano badato al suo aspetto, anzi, l’avevano fatta sentire bella e giovane come un tempo. Fece un cenno ai due bambini e loro senza farselo ripetere due volte salirono sulla sua groppa  e,  insieme partirono verso la casa del grande vecchio, per consegnare i doni a tutti i bambini del mondo…

L’ uomo e la tartaruga

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Illustrator Patrizia Kovacs

“La tartaruga, nella sua scatola, si puntò sulle zampine e tirò in alto il muso annusando l’aria. C’era un odore nuovo: odore di umano, ok, misto a quello della paura, della solitudine, e del dolore. Li riconosceva, lei aveva lo stesso odore.

Ma ne sentiva un altro, diverso da tutti gli altri. Era un odore buono.”

Regala o regalati per Natale : L’uomo e la tartaruga  una dolcissima  favola metropolitana, con le belle illustrazioni di Patrizia Kovacs 

Non  solo per i più piccoli, ma anche per i grandi, che a volte, alle prese con lo stress e i problemi di ogni giorno si dimenticano di fermarsi, e di guardarsi intorno. Questa fiaba metropolitana racconta la storia, vera, di un uomo buono, che ha salvato una tartaruga dall’ignoranza e dalla cattiveria dell’essere umano. E le ha regalato una vita migliore. Perché nessun animale è un oggetto…

La bambola e il suo orsetto

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Illustrator Patrizia Kovacs

Era la notte di Santa Lucia, la notte più lunga e magica di tutto l’anno; tutti i bambini erano nei loro lettini, incapaci di dormire ma con gli occhi serrati, perché si diceva che Santa Lucia, che portava i giocattoli ai bambini,  non voleva farsi vedere da loro  e se li avesse incontrati, avrebbe gettato nei loro occhi una polvere scura.

Nessun bambino voleva farla arrabbiare perché Santa Lucia portava doni meravigliosi, e ascoltava sempre le richieste dei bambini. Ogni bimbo, prima di andare a dormire lasciava  sulla finestra di casa un po’ di latte e fieno per il suo asinello, che doveva essere stanco con tutto quel peso sulla schiena. Lui portava i sogni di tutti i bambini del mondo.

Ma non solo i bambini aspettavano Santa Lucia; nella cameretta di una bambina, c’era una bambola che desiderava tanto tanto avere un ‘orsacchiotto.

-Che storia sciocca è questa – protestò Keil- le bambole non  possono desiderare, sono solo bambole

La piccola Gemma, invece di mettere il muso, si fece seria seria – Una strega cattiva le aveva fatto un incantesimo, e lei stava tutto il tempo seduta su un mobile perché quella bambina, che aveva tanti giochi, non giocava mai con lei e la bambola si sentiva sola. Non se lo ricordava più, ma una volta era stata anche lei una bimba.

Keil non replicò e senza accorgersi di avere gli occhi sgranati, restò in ascolto

Così la bambola- proseguì la piccola Gemma- voleva un orsacchiotto, tutto per lei, così avrebbe avuto qualcuno con cui giocare. Detto fatto,  si fece aiutare dai pennarelli colorati che stavano sul mobile e scrisse una lettera a santa Lucia, tutta colorata perché lei non la dimenticasse. E poi, con un bel sorriso sulle labbra, attese…

Venne  la notte di Santa Lucia  e mentre tutti i bambini dormivano, la bambola aspettava seduta sul suo mobile sperando con tutto il suo povero cuoricino da bambola di ricevere il dono tanto desiderato, ma tanta era l’emozione che alla fine si addormentò e sognò il suo orsacchiotto.

Quando la mattina la bambola si svegliò, si sentì davvero strana; sentiva caldo allo stomaco  e qualcosa di strano più su, dove lei non sapeva ancora, c’era il suo cuore:  non sapeva ancora di stare provando l’emozione: guardandosi  le manine  e i piedini  vide che non erano più da bambola: era diventata una bambina che dormiva in un lettino vero, e accanto a lei c’era l’orsetto che le aveva portato Santa Lucia e che divenne il suo inseparabile amico.