La sana paura

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Aroon Blanco

Ci sono tante forme di paura.

C’è la paura per qualcosa di definito, che ha una forma e magari un nome.

C’è la paura per qualcosa che non si conosce. Che non ha nome. Che non puoi prendere in mano, se vuoi, per gettarlo lontano. Non puoi controllarlo. E questo fa ancora più paura. Una paura che schiaccia in un angolo e toglie il fiato.

Abbiamo paura di quello che conosciamo e che non possiamo controllare. Abbiamo paura del cambiamento, anche quando vuol dire cambiare alcune abitudini alle quali prima, magari non davamo troppa importanza, ma ora diventano vitali,

C’è la paura che ti fa perdere il controllo: è l’irresponsabilità del panico, quello che rende egoista e senza nessuna empatia per il  resto del mondo. E’ quella paura che ti fa correre quasi senza meta – o a prendere un treno al volo e se nella tua fuga verso il nulla, pesti anche qualcuno, che importa? Questa si chiama sopravvivenza.

C’è la paura che non vuoi sentire, perché è un’emozione che non vuoi provare, perché la tua paura più grande è proprio delle emozioni. Che non sai elaborare, non puoi gestire. Così meglio far finta di niente! Non sta succedendo nulla, e comunque non sta succedendo a me! Vuol dire rimuovere il problema e ogni cosa che lo riguarda. Bisogna stare a casa? Ma non riguarda me…  Non voglio cambiare nulla della mia vita, ed esco con gli amici anche se dicono che sarebbe meglio – responsabile – stare a casa o non creare assembramenti di persone; e si verifica poi il meccanismo tipico dei gruppi, la de-individuazione, cioè l’attenuazione della propria identità  personale, che è caratterizzata dalla sensazione di anonimato, dalla responsabilità diffusa,  e dalla sottovalutazione e la  trasgressione delle  norme istituzionali.

Come dice Baumann: “Per evitare una catastrofe bisogna prima convincersi che l’impossibile è possibile”

Bisogna accogliere la paura, come un sentimento che fa parte di noi, come ogni altra emozione. Aver paura, vuol dire esprimere una emozione che se repressa, causerebbe blocchi e si ripresenterebbe, prima o poi, in modo totalmente inadeguato.

Avere paura è sano,  paura è quella che ci dà dei limiti, che ci fa stare attenti, che ci impedisce di fare cose pericolose. Una sana paura, in questi strani giorni, è quella che ci fa diventare responsabili, attenti a noi, a chi amiamo, e agli altri.

Come non farla diventare angoscia, o totale disinteresse? Noi possiamo sempre fare la differenza anche quando una situazione non dipende da noi, come sta succedendo ora, con il nostro atteggiamento, il nostro modo di porci agli accadimenti.

E’ sicuramente un momento difficile, ma ognuno di noi può dare il proprio prezioso contributo: pensare e condividere positività: se pensiamo agli ospedali pieni, pensiamo alla eccellenza del nostro personale medico, siamo in ottime mani,  e al rispetto per il loro lavoro.

Diffondiamo senso di responsabilità e attenzione: il nostro comportamento, quello che facciamo, cambia davvero le cose,  e, oggi, mantenere un metro di distanza dall’altro, è più amorevole di un caldo abbraccio.

Fiducia di se’:  noi possiamo superare le difficoltà, abbiamo risorse e forza che nemmeno conosciamo; e e quando sentiamo che la preoccupazione sta oltrepassando il limite della sana paura, andiamo a fare una passeggiata nel verde, a contatto con gli alberi, e respiriamo. E scriviamo, disegniamo e coloriamo la paura.

E un piccolo ma potente esercizio: disegniamole un volto e diamole un nome. Umanizzare le emozioni vuol dire imparare a gestirle. La paura diventa così un’amica, che accogli e alla quale puoi chiedere di andare via.

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